28 febbraio 2018

Wildness

 

 

Di solito preferisco non utilizzare una parola inglese al posto dell’equivalente italiana, ma in questo caso non ho avuto molta scelta: altrimenti che titolo avrei potuto dare alle righe di oggi, volendo utilizzare un solo vocabolo?… selvatichezza? Sì, perché sono andata a vedere e, per esprimere il concetto di “essere selvaggi”, sul vocabolario c’è  solo selvatichezza. Ma prova a pronunciare wildness e poi selvatichezza e ti accorgerai della differenza: wildness ti trasporta, quasi in volo, oltre ogni barriera artificiale, selvatichezza (onestamente) ti fa venire in mente solo cattivi odori e modi sgarbati. E quindi (in questo caso), vada per la parola inglese. Ma poi, che cosa vuol dire essere selvaggi (tralasciando le accezioni negative che elenca il vocabolario e che in questo momento non mi interessano)? Non portare la cravatta, andare in giro scalzi e con i capelli (molto) spettinati? Non necessariamente. Io una persona capace di wildness semplicemente me la immagino seduta sull’erba, o sulla sabbia, o sulle rocce, consapevole e felice (e quindi rispettosa) di essere seduta sopra a quello da cui proviene e a cui appartiene (cioè la Terra).

***

Canto selvaggio

Ho gridato di gioia, nel tramonto.
Cercavo i ciclamini fra i rovai:
ero salita ai piedi di una roccia
gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
Sul prato crivellato di macigni,
sul capo biondo delle margherite,
sui miei capelli, sul mio collo nudo,
dal cielo alto si sfaldava il vento.
Ho gridato di gioia, nel discendere.
Ho adorato la forza irta e selvaggia
che fa le mie ginocchia avide al balzo;
la forza ignota e vergine, che tende
me come un arco nella corsa certa.
Tutta la via sapeva di ciclami;
i prati illanguidivano nell’ombra,
frementi ancora di carezze d’oro.
Lontano, in un triangolo di verde,
il sole s’attardava. Avrei voluto
scattare, in uno slancio, a quella luce;
e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,
perché il morente dio s’abbeverasse
del mio sangue. Poi restare, a notte,
stesa nel prato, con le vene vuote:
le stelle – a lapidare imbestialite
la mia carne disseccata, morta.

Pasturo, 17 luglio 1929

Antonia Pozzi, da Parole, 1941

 *

Roccia

Laghetto nevoso granito caldo
ci accampiamo,
nessun pensiero di cercare ancora.
Sonnecchiamo
abbandoniamo le nostre menti al vento.

Sulla roccia, gentilmente inclinati,
il cielo e la pietra,

insegnami ad essere tenero.

Il tocco che quasi non tocca –
l’incrocio fuggevole di sguardi –
passi minuscoli –
che infine ricoprono mondi
dal duro terreno.
Batuffoli di nuvole e nebbie
raccolti nelle pozze blu ardesia
delle piogge estive.

Gary Snyder, da L’isola della Tartaruga (Turtle Island, 1975), traduzione italiana di Julio Monteiro Martins

°ascoltando Steppenwolf – Born To Be Wild https://www.youtube.com/watch?v=hIfvwwPSHCI



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