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13 dicembre 2024

È inverno

 


inverno. Cerca di stare bene)

***

 

Fili neri di pioppi –
fili neri di nubi
sul cielo rosso –
e questa prima erba
libera dalla neve
chiara
che fa pensare alla primavera
e guardare
se ad una svolta
nascono le primule.
Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri –
la nebbia addormenta i fossati –
un lento pallore devasta
i dolori del cielo.
Scende la notte –
nessun fiore è nato –
è inverno – anima –
è inverno.

(1932)

 Antonia Pozzi (Milano, 1912-1938), da Poesie, Garzanti, 2021

°ascoltando Sachiko Kanenobu- I Wish It Would Snow - https://www.youtube.com/watch?v=MZ0gFX65vn0

14 agosto 2020

Qualcosa di magico?


Quali sono le piccole magie a cui credi con ostinazione
(e per cui magari fai anche sorridere gli altri, che ti definiscono pazzerell*?); hai uno o più oggetti che consideri “magici”?

Queste domande sono  molto meno profonde della poesia che segue: Antonia Pozzi e la sua immensa sensibilità:

Cose

Questo pugno di terra
che raccolse
per me – sul Palatino
la tua mano pura

io verserò nell’urna
di smorta argilla
che sul rosso lido di Selinunte
un pescatore mi donò, sporgendo
il braccio fra i cespugli di lentischio.

E tu non dire
ch’io perdo il senso e il tempo
della mia vita
se cerco nella sabbia
il sole e il pianto
dei mondi –
se getto nelle cose la mia anima
più grande – e credo
ad immense magie

10 dicembre 1933

Antonia Pozzi, da Parole – Tutte le poesie, Edizioni Ancora, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino

*ascoltando Vangelis – Le Singe Bleu - https://www.youtube.com/watch?v=f2Bp-xkMc20

 

26 aprile 2019

Con o senza radici?

 

AAA cercasi salde radici: questo l’annuncio che servirebbe se le radici si potessero “trovare”. Perché senza radici si è destinati a vagare secondo i capricci del vento… In ogni caso, ti auguro buona ricerca.

                                                                                ***


Ninfee

Ninfee pallide lievi
coricate sul lago –
guanciale che una fata
risvegliata
lasciò
sull’acqua verdeazzurra –

ninfee –
con le radici lunghe
perdute
nella profondità che trascolora –

anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –

anch’io cresco dal fondo
di un lago – colmo
di pianto.

26 agosto 1933

Antonia Pozzi, da Parole, 1939

*ascoltando Vasco Rossi – Sally  https://www.youtube.com/watch?v=iVAZezs0H9s

 


9 maggio 2018

Cose dal mondo: tempo lento a Venezia

 

A Venezia non conviene muoversi come turisti, molto meglio camminare lentamente cercando le calli più “sconte”.

***

Venezia

Venezia. Silenzio. Il passo
di un bimbo scalzo
sulle fondamenta
empie d’echi
il canale.
Venezia. Lentezza. Agli angoli
dei muri sbocciano
alberi e fiori:
come se durasse
un’intera stagione il viaggio,
come se maggio
ora
li sdipanasse
per me.
Al pozzo di un campiello
il tempo
trova un filo d’erba tra i sassi:
lega con quello
il suo battito all’ala
di un colombo, al tonfo
dei remi.

(1933)

Antonia Pozzi (1912-1938), poesia che, per volere di Vittorio Sereni, è uscita postuma su “Corrente”, anno III, n. 7, 15 aprile 1940, p. 4

 

*ascoltando Francesco De Gregori – Miracolo a Venezia -  https://www.youtube.com/watch?v=XZrgAK4abNs


 

19 aprile 2018

Voce del verbo… “vorrei”

 

Ognuno ha i propri vorrei: alcuni sono chiarissimi, altri sono così nascosti che non sappiamo nemmeno di averli. Vorrei è una parola davvero difficile (soprattutto se le uniche  fate disponibili sono quelle disegnate sulla scatola dei biscotti).

***

 

Pianura

Certe sere vorrei salire
sui campanili della pianura,
veder le grandi nuvole rosa
lente sull’orizzonte
come montagne intessute
di raggi.

Vorrei capire dal cenno dei pioppi
dove passa il fiume
e quale aria trascina;
saper dire dove nascerà il sole
domani
e quale via percorrerà, segnata
sul riso già imbiondito,
sui grani.

Vorrei toccare con le mia dita
l’orlo delle campane, quando cade il giorno
e si leva la brezza:
sentir passare nel bronzo il battito
di grandi voli lontani.

Antonia Pozzi, da Parole,  Milano, Garzanti, 1998

 *

 

Io vivere vorrei addormentato
entro il dolce rumore della vita.

Sandro Penna, distico di chiusura di Poesie, 1939

 

°ascoltando  Niccolò Fabi – I Wish https://www.youtube.com/watch?v=OhgFbFirM3I


28 febbraio 2018

Wildness

 

 

Di solito preferisco non utilizzare una parola inglese al posto dell’equivalente italiana, ma in questo caso non ho avuto molta scelta: altrimenti che titolo avrei potuto dare alle righe di oggi, volendo utilizzare un solo vocabolo?… selvatichezza? Sì, perché sono andata a vedere e, per esprimere il concetto di “essere selvaggi”, sul vocabolario c’è  solo selvatichezza. Ma prova a pronunciare wildness e poi selvatichezza e ti accorgerai della differenza: wildness ti trasporta, quasi in volo, oltre ogni barriera artificiale, selvatichezza (onestamente) ti fa venire in mente solo cattivi odori e modi sgarbati. E quindi (in questo caso), vada per la parola inglese. Ma poi, che cosa vuol dire essere selvaggi (tralasciando le accezioni negative che elenca il vocabolario e che in questo momento non mi interessano)? Non portare la cravatta, andare in giro scalzi e con i capelli (molto) spettinati? Non necessariamente. Io una persona capace di wildness semplicemente me la immagino seduta sull’erba, o sulla sabbia, o sulle rocce, consapevole e felice (e quindi rispettosa) di essere seduta sopra a quello da cui proviene e a cui appartiene (cioè la Terra).

***

Canto selvaggio

Ho gridato di gioia, nel tramonto.
Cercavo i ciclamini fra i rovai:
ero salita ai piedi di una roccia
gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
Sul prato crivellato di macigni,
sul capo biondo delle margherite,
sui miei capelli, sul mio collo nudo,
dal cielo alto si sfaldava il vento.
Ho gridato di gioia, nel discendere.
Ho adorato la forza irta e selvaggia
che fa le mie ginocchia avide al balzo;
la forza ignota e vergine, che tende
me come un arco nella corsa certa.
Tutta la via sapeva di ciclami;
i prati illanguidivano nell’ombra,
frementi ancora di carezze d’oro.
Lontano, in un triangolo di verde,
il sole s’attardava. Avrei voluto
scattare, in uno slancio, a quella luce;
e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,
perché il morente dio s’abbeverasse
del mio sangue. Poi restare, a notte,
stesa nel prato, con le vene vuote:
le stelle – a lapidare imbestialite
la mia carne disseccata, morta.

Pasturo, 17 luglio 1929

Antonia Pozzi, da Parole, 1941

 *

Roccia

Laghetto nevoso granito caldo
ci accampiamo,
nessun pensiero di cercare ancora.
Sonnecchiamo
abbandoniamo le nostre menti al vento.

Sulla roccia, gentilmente inclinati,
il cielo e la pietra,

insegnami ad essere tenero.

Il tocco che quasi non tocca –
l’incrocio fuggevole di sguardi –
passi minuscoli –
che infine ricoprono mondi
dal duro terreno.
Batuffoli di nuvole e nebbie
raccolti nelle pozze blu ardesia
delle piogge estive.

Gary Snyder, da L’isola della Tartaruga (Turtle Island, 1975), traduzione italiana di Julio Monteiro Martins

°ascoltando Steppenwolf – Born To Be Wild https://www.youtube.com/watch?v=hIfvwwPSHCI



10 febbraio 2018

P di Paura




Cold in hand blues

E cosa dirai?
Mi limiterò a dire qualcosa.
E cosa farai?
Mi nasconderò nel linguaggio
E perché?
Ho paura.

Alejandra Pizarnik (Buenos Aires, 1936 –1972), da L’inferno musicale, 1971

 ***

Paura

Nuda come uno sterpo
nella piana notturna
con occhi di folle scavi l’ombra
per contare gli agguati.
Come un colchico lungo
con la tua corolla violacea di spettri
tremi
sotto il peso nero dei cieli.

Milano, 19 ottobre 1932

Antonia Pozzi da Parole, 1939

°ascoltando Pink Floyd – Lost For Words https://www.youtube.com/watch?v=zPwucFar9kM


12 giugno 2017

Quello che vorremmo, quello che possiamo

 


In quanti così? Vorremmo continuare a cercare “di cielo in cielo chissà che altezza“ (ma siamo inchiodati a terra).

***

Prati

Forse non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l’abbaglio estremo
dei tuoi occhi malati –
e che ciò che fingevi la meta
è un sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.

Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.

Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.

Antonia Pozzi, Milano, 31 dicembre 1931

 

°ascoltando Nick Drake –  Way to Blue - https://www.youtube.com/watch?v=S40DdlD9JxI


20 dicembre 2016

Antonia e Nick: qualcosa in comune



Di chi sto parlando? Sto parlando di due artisti, lei poetessa italiana, lui cantautore (folk) inglese, morti entrambi a ventisei anni (Antonia suicida mediante barbiturici e Nick per overdose di antidepressivi, ma non è mai stato chiaro se fosse premeditata oppure no). Due artisti che hanno scritto parole (e musica) di straordinaria bellezza e intensità, ma che in vita rimasero sconosciuti ai più o comunque non vennero capiti, e solo dopo la loro scomparsa sono stati “rivalutati” e giustamente apprezzati . Sto parlando di Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938) e di Nick Drake (Yangon, Birmania, 19 giugno 1948 – 25 novembre 1974, Tanworth-in-Arden, Inghilterra).

Non sono certo gli unici artisti che (in ogni epoca)  hanno cominciato ad essere apprezzati solo dopo la morte, ci sono stati tantissimi altri casi simili  (e ci si potrebbe anche porre qualche domanda sui motivi di tutte queste scoperte sempre troppo tardive): il compositore Johann Sebastian Bach, i pittori Johannes Vermeer e Vincent Van Gogh, gli scrittori Franz Kafka, H.P. Lovecraft, Hermann Melville, Goliarda Sapienza, Stieg Larsson, solo per citarne alcuni.

Ma ho scelto di parlare  proprio di Antonia Pozzi e Nick Drake, accostandoli, perché  nei loro versi  è (secondo me) possibile ritrovare la stessa struggente malinconia e  lo stesso senso di solitudine esistenziale, espressi tra l’altro da entrambi con un  tono schivo e delicato, ma assolutamente sincero e incurante dei modelli imperanti del loro tempo.  Le parole che danno vita alle loro poesie e canzoni sembrano molto spesso fluttuare, quasi evanescenti, in un’atmosfera rarefatta  (la voce di Drake è poi inconfondibile: evocativa, limpida  e al contempo calda, sebbene egli cantasse con un filo di voce), ma hanno una profondità  emotiva innegabile. Profondità che senza dubbio si deve alla sensibilità accentuata e all’irrequietezza interiore che essi conobbero nella loro breve vita: tutti e due infatti soffrirono di depressione che, direttamente o indirettamente, fu la causa della loro morte.

Antonia Pozzi e Nick Drake furono entrambi molto timidi, estremamente riservati, e trovarono nella scrittura un modo per essere veramente liberi, una sorta di rifugio, ma che non fu mai evasione totale dalle cose della vita: queste infatti sono il vero oggetto dei loro versi,  che rincorrono incessantemente il senso della vita, della morte, dell’amore. Lievi e profondi allo stesso tempo, quindi, i loro testi: sia Antonia Pozzi (le cui poesie furono definite da Montale  come  “ridotte al minimo di peso”) che Nick Drake (tutte le canzoni sono piene di lirismo, ma molto solide dal punto di vista melodico, e assolutamente mai banali) ci portano in un mondo ricco di domande, alla ricerca di ascolto e accettazione (le loro parole sembrano urla sussurrate), e tanta, tantissima natura: cieli, albe, nebbie, sere, lune, stelle, sole. La natura (più  limpida in Antonia, più misteriosa in Nick) è infatti una presenza costante nella loro produzione poetica e musicale, e viene evocata da entrambi attraverso i loro occhi eternamente giovani (quasi di bambini, anche se sempre troppo maturi per la loro età), occhi di chi si sente minuscolo, talvolta accolto, ma più spesso sperduto, di fronte all’immensità dagli elementi naturali.

Vediamo per esempio come nei due artisti  ci sia la stessa voglia di innalzarsi verso il cielo,  lo stesso anelito verso l’azzurro:

(…) Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.

Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.

(Antonia Pozzi da Prati, 31 dicembre 1931)

 

(…) Have you never heard a way to find the sun (…)
Have you seen the land living by the breeze
Can you understand a light among the trees (…)
Show me what you have to show
Tell us all today If you know the way to blue? (…)

traduzione:

(…) Non hai mai sentito parlare di un modo per trovare il sole? (…)

Hai visto la terra che vive (sotto) la brezza?
Sei in grado di comprendere la luce (che filtra) tra gli alberi? (…) Dillo a tutti noi, oggi se tu conosci la strada verso l’azzurro (…)

                    (Nick Drake da Way to Blue – dall’album Five Leaves Left, 1969)

Entrambi cominciarono a scrivere testi  da giovanissimi, lei a diciassette anni, lui (influenzato dai simbolisti francesi) a diciannove (molto tempo prima aveva cominciato a suonare da autodidatta la chitarra, e divenne infatti anche un ottimo chitarrista) ma, come si diceva all’inizio,  la vera essenza e il valore di ciò che essi scrissero vennero realmente colti solo dopo la loro morte (molti anni dopo per Antonia, quasi subito invece per Nick).

Di Antonia Pozzi infatti il padre fece pubblicare, postumo, un unico libro, Parole, su cui però aveva operato una censura (e di cui aveva addirittura riscritto alcune parti) perché l’originale  non era ritenuto consono alla memoria che egli voleva costruire per la figlia. È stato un equivoco durato per molti decenni e che ha fatto sì che la poetessa non abbia avuto la giusta collocazione nella letteratura italiana. Oggi è solo grazie al lavoro preciso e puntuale di ricostruzione filologica da parte di Onorina Dino (una suora dell’ordine del Preziosissimo Sangue di Monza, che si laureò con una tesi sulla scrittrice, e che venne in contatto con gli scritti originali custoditi dalla famiglia) che possiamo leggere finalmente le poesie originali (con l’epistolario e le pagine di diario) di Antonia, nell’edizione curata appunto da Onorina Dino e da Graziella Bernabò, intitolata Poesia che mi guardi (2010), e che contiene anche il film-documentario “Poesia che mi guardi” di Marina Spada.

Meno tempo è  stato invece necessario per “riscoprire” Nick Drake. Nel 1969 pubblicò il suo primo disco “Five leaves left”  che passò del tutto inosservato al grande pubblico, vendendo solo poche migliaia di copie (anche a causa delle difficoltà del musicista nell’esibirsi in concerti e nel rilasciare interviste). L’anno successivo uscì “Bryter Later“: il suo talento venne in parte riconosciuto dalla  stampa, ma non dal pubblico. L’ultimo disco, “Pink Moon“, pubblicato nel 1972, è considerato  il grande testamento musicale di Drake, ma anche questo non venne notato più di tanto. Nick  decise quindi di abbandonare il mondo della musica e tornò nella casa dei genitori dove di lì a poco sarebbe morto. Poi, poco tempo dopo la sua morte (cito da Le provenienze dell’amore – Vita morte e postmortem di Nick Drake misconosciuto cantautore inglese, molto sexy, di Stefano Pistolini, Fazi Editore, 1998 ): “Nick assunse i contorni di una magica figura romantica, inimitabile, esotica. Presto le vendite dei suoi dischi conobbero un’impennata […] Col passare degli anni, il nome di Drake venne evocato da ogni genere di musicisti, tutti pronti a citarne la determinante influenza artistica. Nick oggi impersona l’archetipo della trasposizione estrema della sensibilità in canzone. […](Adesso) quasi nessuno sa come, in vita, la sua musica venne violentemente ignorata e come i valori innovativi del suo discorso musicale, già presenti al tempo del suo debutto artistico, restarono del tutto lettera morta. Il martirio artistico di Nick è un caso archiviato di cecità collettiva”.

E infatti oggi, perfino il mondo del cinema e della pubblicità attinge al repertorio musicale di Drake (in Italia è stato di recente utilizzato un passaggio di Northern Sky in uno spot di Poste Italiane, ma già nel 2000 la canzone Pink Moon era stata usata dalla Volkswagen come sottofondo musicale nello spot del nuovo Maggiolino) e c’è da chiedersi cosa ne penserebbe lui (che rifuggiva perfino le interviste) di questo fatto.

In conclusione non posso che invitare alla lettura della poesia di Antonia Pozzi riportata sotto e all’ascolto di Northern Sky (dall’album Brayter Layter, qui il link https://www.youtube.com/watch?v=S3jCFeCtSjk) di Nick Drake: due prove che rendono evidente più di tante parole la struggente bellezza della loro creazione artistica.

Lieve offerta

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia –

Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.

 

 


11 ottobre 2016

Help!

Chiedi aiuto e forse (forse!) un aiuto arriverà. Se non chiedi è molto più difficile (forse). (Ma onestamente l’unica certezza che ho è il forse).

***

 

Preghiera

Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
– resuscitami.

Nina Cassian, da C’è modo e modo di sparire, Adelphi

 

Preghiera alla poesia

Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.

Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.

Pasturo, 23 agosto 1934

Antonia Pozzi, da Parole (a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino)

° ascoltando The Beatles - Help!






23 settembre 2016

Ghiaccio

 



Ha occhi di ghiaccio
e di ghiaccio le mani
ha un cuore freddo
freddo gelato
la neve è un bambino
che non si è mai svegliato.

(Vivian Lamarque, da Poesie di ghiaccio)

  

Il ghiaccio, dice il vocabolario,  non è altro che acqua nello stato di aggregazione solido, con struttura cristallina. Insomma è acqua, niente paura, solo acqua. Prima o poi si scioglierà. Prima o poi.

***

Gelo

Brinato è il campo, dove tra le spighe
frusciò la mia veste leggera.
Ora dove tu sei
ravvia l’inverno
chiome di ghiaccio alle fontane:
il vento,
per le bianche cattedrali
delle foreste – ànima rotte querele
d’organo, dentro i rami.
Ora sepolti arpeggi
corron sul fondo
dei laghi: contro mute
gelide sponde muoiono,
infrangendosi.

Antonia Pozzi, da Parole, Garzanti.

 

 

Fammi un disegno del sole  ̶
ché io possa appenderlo in camera  ̶
e far finta che mi scaldo
quando altri lo chiamano “giorno”!

Disegnami un pettirosso  ̶  sul ramo  ̶
così che di sentirlo  ̶  sognerò,
e quando la canzone del frutteto è finita  ̶
di fingere  ̶  smetterò  ̶

Dimmi se è  ̶  caldo a mezzogiorno  ̶
sono i ranuncoli  ̶  a “sfiorare” ̶
o le farfalle  ̶  a “fiorire”?
Poi  ̶  salta  ̶  il gelo  ̶  sopra il prato  ̶
e salta il rosso ̶  sopra l’albero  ̶
giochiamo che questi  ̶  non debbano mai venire!

Emily Dickinson, da Tutte le poesie, Mondadori, traduzione di Marisa Bulgheroni.

 

°ascoltando Angelo Branduardi – Lamento di un uomo di neve.

 

20 agosto 2016

Ponti e non-ponti

 


Si dice “gettare un ponte”, ma si dice anche “bruciare i ponti”. E le parole sanno essere ponte ma anche fuoco. Chissà in quanti, nel tempo, fermi su rive opposte a pesare manciate di parole.
Del resto spesso è difficile costruire un ponte anche verso noi stessi, passiamo una vita senza mai incontrarci, noi e il nostro vero io, figuriamoci con gli altri!
Ma la seconda poesia (Lieve offerta) ha in sé una speranza così dolce che da sola basta come augurio per tutti.

***

Il ponte

Tu in un senso
Io nell’altro.
Su opposti marciapiedi
Attraversiamo il ponte.

Scuola, dici.
Faccio spallucce.
Fai spallucce.

Pochi metri di pietra ci separano.
Muro, non ponte.
Tu non li varchi.
Io non traghetto.

Tra noi
Sul ponte
Nessuno getta il ponte.

Renato Oliva, da Quaderni di poesia, in Il Malamore, 2015, Moretti e Vitali Edizioni.

 

Lieve offerta

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia –

Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.

5 dicembre 1934

Antonia Pozzi, da Lieve offerta – Poesie e prose, a cura di Alessandra Cenni e Silvio Raffo, Bietti Edizioni.

°ascoltando   Simon & Garfunkel - Bridge Over Troubled Water