Visualizzazione post con etichetta Octavio paz. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Octavio paz. Mostra tutti i post

1 luglio 2019

Tra il dire e il fare

 

… c’è (anche) una poesia?

***

Dire: fare

I.

Tra ciò che vedo e dico,
tra ciò che dico e taccio,
tra ciò che taccio e sogno,
tra ciò che sogno e scordo,
la poesia.
Scivola
tra il sì e il no:
dice
ciò che taccio,
tace
ciò che dico,
sogna
ciò che scordo.
Non è un dire:
è un fare.
È un fare
che è un dire.
La poesia
si dice e si ode:
è reale.
E appena dico
è reale,
si dissipa.
È più reale, così?

II.

Idea palpabile,
parola
impalpabile:
la poesia
va e viene
tra ciò che è
e ciò che non è.
Tesse riflessi
e li stesse.
La poesia
semina occhi nella pagina,
semina parole negli occhi.
Gli occhi parlano,
le parole guardano,
gli sguardi pensano.
Udire
i pensieri,
vedere ciò che diciamo,
toccare
il corpo dell’idea.
Gli occhi
si chiudono,
le parole si aprono.

*
Decir, hacer

I.

Entre lo que veo y digo,
Entre lo que digo y callo,
Entre lo que callo y sueño,
Entre lo que sueño y olvido
La poesía.
Se desliza entre el sí y el no:
dice
lo que callo,
calla
lo que digo,
sueña
lo que olvido.
No es un decir:
es un hacer.
Es un hacer
que es un decir.
La poesía
se dice y se oye:
es real.
Y apenas digo
es real,
se disipa.
¿Así es más real?

II.

Idea palpable,
palabra
impalpable:
la poesía
va y viene
entre lo que es
y lo que no es.
Teje reflejos
y los desteje.
La poesía
siembra ojos en las páginas
siembra palabras en los ojos.
Los ojos hablan
las palabras miran,
las miradas piensan.
Oír
los pensamientos,
ver
lo que decimos
tocar
el cuerpo
de la idea.
Los ojos
se cierran
Las palabras se abren.

 
Octavio Paz (Messico, 1914-1998), da Árbol  adentro, 1987

°ascoltando Pink Floyd – Things Left Unsaid -  https://www.youtube.com/watch?v=0knKQEjRifA


16 febbraio 2018

 

Particolare da Il bacio di Gustav Klimt, 1907-08, Österreichische Galerie Belvedere di Vienna

Non c’è sempre e solo pensiero etereo nelle poesie, molto spesso prende voce anche il corpo con la sua sensualità.

***

Due corpi fronte a fronte
sono a volte due onde
e la notte l’oceano.

Due corpi fronte a fronte
sono a volte due pietre
e la notte deserto.

Due corpi fronte a fronte
sono a volte radici
nella notte allacciate.

Due corpi fronte a fronte
sono a volte due lame
e la notte baleno.

Due corpi fronte a fronte
son due stelle cadenti
nel firmamento vuoto.

Octavio Paz (Città del Messico,  1914 – Città del Messico, 1998), traduzione di Maria Pia Lamberti, dalla rivista “Poesia”, Anno IX, Novembre 1996, N. 100, Crocetti Editore

 *

La tua mano, lasciala andare
sulla mia pelle, vieni vicino
ché il bene che nasce vedendoti,
vedendoti cresce nello smalto
dei tuoi occhi;
nel cuore dei miei occhi, amore,
vieni qui sebbene umore,
amore, non so cosa confonda,
i capelli che ti pettinano l’arco della schiena nuda
come la verità senza vergogna
o l’esserti qui
vita in vita che si arroventa in vita
testa con testa, capello con capello
carne sangue seme per te
maturata d’amore col maturare della luna
cresciuta in me per maturare l’amore;
 
vieni qui
che io vorrei per te la parola piú alta,
alta in questo maltempo d’inverno
come il primo grido della primavera cruda,
ma tu vieni qui lo stesso, la verità è dentro i bambini,
carne che arde.

                                             _ _ _

La tô man, lassile lâ su la mê
piel, ven dongje che il ben ch’al nas viodinti
viodinti al cres tal lustri dai tiei vôi
tal cûr dai miei vôi, amôr,
ven chì siben che umôr
amôr no sai ce ch’al confont,
i cjavêi ch’a ti petenin l’arc da la schene nude
come la veretât cence vergogne
o il jessiti achì
vite in vite che s’imburìs in vite
cjâf cun cjâf cjavêl cun cjavêl
cjar sanc semence par te
maduride d’amôr cul madurî de lune
cressude in me par madurî l’amôr;

ven chì
ch’o volarès par te la peraule plui alte
alte in chest maltimp d’unvier
come il prin crît de primevere crude
ma tu ven chì distès, la veretât e je intai fruts,
cjar incandive.

Pierluigi Cappello, da Amors, in Azzurro Elementare, 2013

 *

Il lenzuolo di sopra

Mi sono messo, piegato con cura
tra la biancheria dell’armadio
Hai tolto le lenzuola per il letto
e mi hai steso come lenzuolo di sopra
Sei scivolata sotto
e ti ho coperta centimetro per centimetro
Poi ci ha travolto l’uragano
e siamo caduti ansimanti nell’occhio del ciclone
Adesso giaci sudata
con lo sguardo fisso al soffitto
e il lenzuolo di sopra ancora impigliato tra le tue gambe.

Óscar Hahn (Iquique, 1938), da Mal de amor, 1981

 

*ascoltando Elmore James – Make A Little Love https://www.youtube.com/watch?v=KsfOpdp4r6Q


29 gennaio 2018

Le non-parole

 

Anche quello che non viene scritto trova posto tra gli spazi di una poesia? Anche il non detto ha il peso di un verso?

***

 

Più belle

Sono più belle le poesie della felicità.

Come il fiore è più bello dello stelo
che lo sostiene
più belle sono le poesie della felicità.

Come l’uccello è più bello dell’uovo
come è bello quando viene la  luce
più bella è la felicità.

E più belle sono le poesie
che non scriverò mai.

Hilde Domin, da Qui, in Lettera su un altro continente, Traduzione di Ondina Granato, Del Vecchio Editore

 

 

Da questa matita si diparte una strada di grafite
e sulla strada passeggia una lettera, come un cane,
ed ecco una parola come una città abitata
dove forse arriverò domani.

Nina Cassian, da C’è modo e modo di sparire, Adelphi, 2013, traduzione di Anita Natascia Bernacchia

 

 

                                                    A José Emilio Pacheco

Apro la finestra
che dà
su nessuna parte
La finestra
che si apre verso dentro
Il vento
solleva
istantanee lievi
torri di polvere turbinante
Sono
più alte di questa casa
Stanno dentro
questo foglio
Cadono e si rialzano
Prima di dire
qualcosa
al piegare il foglio
si disperdono
turbini d’echi
aspirati   inspirati
dal loro proprio girare
Adesso
si aprono in un altro spazio
Dicono
non ciò che dicemmo
un’altra cosa sempre altra
la stessa cosa sempre
Parole del poema
che giammai diciamo
È il poema a dire noi

Octavio Paz (1914-1998) da Ritorno (1969-1975), in Octavio Paz-Vento Cardinale e altre poesie, Mondadori, 1984

°ascoltando Pat Metheny – Letter From Home https://www.youtube.com/watch?v=_5-pBkwyUxc


 

28 gennaio 2018

Di parole, di poesia, di forse

 

Ancora queste domande (tra le tante che si potrebbero fare con perché e percome più urgenti e utili): perché scrivere? a che cosa serve la poesia?

***

Perché scrivi?

Perché il fantasma perché ieri perché oggi:
perché domani perché sì perché no
perché l’inizio perché la bestia perché la fine:
perché la pompa perché il mezzo perché il giardino

perché Góngora perché la terra perché il sole:
perché San Giovanni perché la luna perché Rimbaud
perché la luce perché il sangue perché la carta:
perché la carne perché l’inchiostro perché la pelle

perché la notte perché mi odio perché la luce:
perché l’inferno perché il cielo perché tu
perché quasi perché niente perché la sete

perché l’amore perché l’urlo perché non so
perché la morte perché solo perché più
perché un giorno perché tutti perché forse.

Óscar Hahn, (poeta cileno, nato a  Iquique nel 1938)

 ***

Nobiltà

La poesia è pallida e nobile.
Non cambia niente, non incurva colline, non
dà un solo frutto rosso, non
fa il rumore di chi strappa
un pezzo di pane per offrire
un pezzo di pane.
Si rannicchia in un angolo e
non si lamenta.
Vive in tutto ciò che si innalza
all’aria e dal nascere.
Non chiede nemmeno una visita.
Le basta quel che non è successo.

Juan Gelman (Buenos Aires 1930, Città del Messico 2014)

 ***

Parole? Sí, d’aria,
perdute nell’aria.
Lascia che mi perda tra le parole,
lascia che sia l’aria sulle labbra,
un soffio vagabondo senza contorni,
breve aroma che l’aria disperde.

Anche la luce si perde in se stessa.

Octavio Paz, da Libertà sulla parola, Guanda, 1965, traduzione di Giuseppe Bellini

 ***

Leggo poesie a caso,
leggo quasi senza pensare a quel che leggo.
Quando incontro un verso triste,
sento nell’anima come una carezza.
Non che mi conforti la tristezza altrui;
è che mi sento meno solo.

Ángel Gonzalez (1925-2008), da Nada grave, 2008

 ***

Scrivere per un tempo
in cui non ci saremo per nessuno,
e nel più favorevole dei casi
saremo una maschera incipriata
che imbelletta i libri di una qualche libreria.

Scrivere per un secolo, se arriva,
meno oscuro e ottuso di questo secolo.
Lasciare impressa la memoria:
carta, dischetti, vetro, ceramica smaltata,
ambra, quarzo o molecole di gas.

Far sì che le parole navighino al futuro
come se fossero barche di carta
sopravvissute al loro naufragio.

Scrivere se qualcuno, un qualche giorno,
avrà il medesimo dolore al cuore
o proverà una gioia di tal fatta.

Enrique Gracia Trinidad,  da Siempre tiempo, 1997,  traduzione di Gloria Bazzocchi

°ascoltando Santana – El Farol https://www.youtube.com/watch?v=9tqkQVXJgMc


4 dicembre 2017

Semplificare


Conviene semplificare, fare chiaro nelle stanze che ci ospitano per il breve tempo che si chiama vita e nei pensieri che ospitiamo in questo stesso tempo. Anche se semplificare è un verbo che un po’ ci inganna: rendere più semplice non ha nulla di semplice, come ci spiega bene Bruno Munari: “Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. […] Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più della scultura che vuole fare. […] Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode, il teorema di Pitagora ha una data di nascita, ma per la sua essenzialità è fuori dal tempo. Potrebbe essere complicato aggiungendogli fronzoli non essenziali secondo la moda del momento, ma questo non ha alcun senso secondo i principi della comunicazione visiva relativa al fenomeno.
Eppure la gente quando si trova di fronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente questo lo so fare anch’io, intendendo di non dare valore alle cose semplici perché a quel punto diventano quasi ovvie.
[…] La semplificazione è il segno dell’intelligenza, un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte.”  (tratto da Verbale scritto).

***

La vita semplice

Chiamare il pane pane e che appaia
sulla tovaglia il pane quotidiano;
dargli al sudore il suo e dargli al sonno
al breve paradiso e all’inferno
e al corpo e al minuto quello che chiedono;
ridere come il mare ride, il vento ride,
senza che la risata suoni a vetri rotti;
bere e nell’ubriachezza afferrare la vita
ballare il ballo senza perdere il passo;
toccare la mano di uno sconosciuto.

Octavio Paz (Messico, 1914-1998)

Testo originale:

La vida sencilla

Llamar al pan el pan y que aparezca
sobre el mantel el pan de cada día;
darle al sudor lo suyo y darle al sueño
y al breve paraíso y al infierno
y al cuerpo y al minuto lo que piden;
reír como el mar ríe, el viento ríe,
sin que la risa suene a vidrios rotos;
beber y en la embriaguez asir la vida;
bailar el baile sin perder el paso;
tocar la mano de un desconocido

* ascoltando Le semplici cose – Vinicio Capossela
https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=X_azwK091WA


2 agosto 2016

Lettere, scarabocchi, canzoni

 


Poesie che raccontano l’atto di scrivere (anche solo col pensiero) a qualcuno: struggimento doppio, un 2×1 per le emozioni decisamente vantaggioso (o svantaggioso: dipende se siamo pronti a commuoverci oppure no).

***

Blues for Maggie

Vedi

niente è serio e degno di essere ascoltato,
ci siamo fatti giocando tutto il male necessario

vedi, non è una lettera, questa,

ci siamo dati quel miele della notte, il caffè,
il piacere prono, le sigarette torbide
quando nel soffitto trema la luce dell’alba,

vedi
io continuo a pensare a te,
non ti scrivo, d’improvviso guardo il cielo, quella
nuvola di passaggio
e forse tu nel tuo lungomare guarderai una nuvola
e quella è la mia lettera, qualcosa che scorre indecifrabile
e pioggia.

Ci siamo fatti giocando tutto il male necessario
il tempo deposita il resto, i piccoli orsi
dormono accanto a uno scoiattolo sfrondato.

Julio Cortázar, da Poesie, in Carte inaspettate, Einaudi, 2009, traduzione di Jaime Riera Reheren

 

Scarabocchio

Con un pezzo di carbone
con il mio gesso rotto e la mia matita rossa
disegnare il tuo nome
il nome della tua bocca
il segno delle tue gambe
sulla parete di nessuno
Sulla porta proibita
incidere il nome del tuo corpo
finché il filo del mio coltello
sanguini
e la pietra gridi
e il muro respiri come un petto.

Octavio Paz, da Salamandra (1958-1961), in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco

 

Lettera dal balcone

Ti scrivo dal balcone
dove resto ancora un poco questa sera
a guardare l’orto al sole di settembre
a mangiare pane e olio e foglie piccole di basilico
ti scrivo meno fiera di quello che vorresti
sono una donna forte sì
ma con anche continue tentazioni di non esserlo
di lasciarmi sciogliere d’amore al sole
e carezzarti e baciarti un po’ più di quello che tu vuoi
ti scrivo dal balcone
guardando il fico pieno di frutti
e il pero con le foglie malate
ho qualche pensiero triste
e due o tre sereni.

Vivian Lamarque, da Poesie 1972-2002.

°ascoltando Jim Croce – I’ll Have to Say I Love You In A Song


19 luglio 2016

La canzone dell’acqua

 

E la canzone dell’acqua
è una cosa eterna[…]
Che armonia spande
sgorgando dalla roccia!
Federico Garcia Lorca, da Mattino

(Gocce che tolgono la sete, gocce che sono musica)

La nostra acqua

Lenta scorre la nostra acqua
e gorgoglia e ride
come d’estate
e come d’estate canta

Abbracciamoci più forte
ché ci porta via

Gianmaria Testa, da Da questa parte del mare, Einaudi, 2016.

 

***

Vento, acqua, pietra

L’acqua fora la pietra,
il vento disperde l’acqua,
la pietra trattiene il vento.
Acqua, vento, pietra.

Il vento scolpisce la pietra,
la pietra è coppa dell’acqua,
l’acqua sfugge ed è vento.
Pietra, vento, acqua.

Il vento turbinando canta,
l’acqua scorrendo mormora,
la pietra immobile tace.
Vento, acqua, pietra.

L’uno è l’altro ed è nessuno:
fra i  loro nomi vuoti
passano e si dissolvono
acqua, pietra, vento.

Octavio Paz, da Albero Interiore (1976-1987), in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco.

 

°ascoltando Chopin: Preludio op. 28 n. 15 – La goccia d’acqua https://www.youtube.com/watch?v=BczgDb9-ctQ#t=108

 


23 maggio 2016

Qualcosa di verde

 



Alla ricerca del colore nella poesia (comincio dal verde perché fa un po’ speranza…).

 

Scritto con inchiostro verde

L’inchiostro verde crea giardini, selve, prati,
fogliami dove cantano le lettere,
parole che son alberi,
frasi che son verdi costellazioni.

Lascia che le parole mie scendano e ti ricoprano
come una pioggia di foglie su un campo di neve,
come la statua l’edera,
come l’inchiostro questo foglio.
Braccia, cintura, collo, seno,
la fronte pura come il mare,
la nuca di bosco in autunno,
i denti che mordono un filo d’erba.

Segni verdi costellano il tuo corpo
come il corpo dell’albero le gemme.
Non t’importi di tante piccole cicatrici luminose:
guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.

Octavio Paz, in Poeti ispano-americani del ‘900 di Francesco Tentori Montalto, Bombiani, 1987, traduzione di Francesco Tentori Montalto

 ***

Mattina

Acuto lampo di luce
in bottiglia verde

su mensola
lassù. Aria bella

bianca di luce,
onda,

è azzurra estate
qui.

Robert Creeley (1926-2005), da Later,  traduzione di F. Binni

°ascoltando Tom Waits – Green Grass


24 aprile 2016

Colori tra un prima e un dopo

 


Ogni arcobaleno ha un inizio e una fine, ma che importa dove sono questi due punti?
Quello che c’è in mezzo è bellissimo.

 

 

Il ponte

Tra adesso e adesso,
tra io sono e tu sei,
la parola ponte.
Entri in te stessa
quando entri in lei:
il mondo si chiude
come un anello.
Da una sponda all’altra
sempre si stende un corpo,
un arcobaleno.
Sotto i suoi archi dormirò.

Octavio Paz, da Salamandra (1958-1961), in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco, Garzanti.

 ***

Dove termina l’arcobaleno

Dove termina l’arcobaleno
Deve esserci un luogo, fratello,
Dove si potrà cantare ogni genere di canzoni,
E noi canteremo insieme, fratello,
Tu ed io, anche se tu sei bianco, e io non lo sono,
Sarà una canzone triste, fratello,
Perché non sappiamo come fa,
Ed è difficile da imparare,
Ma possiamo riuscirci, fratello, tu ed io.
Non esiste una canzone nera.
Non esiste una canzone bianca.
Esiste solo musica, fratello,
Ed è musica quella che canteremo
Dove termina l’arcobaleno.

Richard Rive, da Il fiore della libertà – Antologia delle più significative poesie di tutto il mondo che hanno dato voce con coraggio e dolore ai diritti inalienabili degli uomini, Edizioni Newton, a cura di E. Clementelli e W. Mauro.

 ***

Dopo la pioggia

Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
è bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

Gianni Rodari, da Filastrocche in cielo e in terra.

 

  • ascoltando Earl Gray – At the End of a Rainbow

 





14 aprile 2016

Nella lista delle cose da fare: alzare lo sguardo e guardare gli alberi

 

Dicono che abbracciare gli alberi faccia bene al corpo e alla mente: l’energia positiva che se ne riceve pare possa anche aiutare a ridimensionare un po’ le ansie e i problemi… vale la pena tentare!

Ma anche solo alzare lo sguardo verso l’alto, ogni tanto, e provare a percepire il respiro lento di quei rami, verdi o spogli che siano, un po’ riesce a calmare (anche se lo sguardo  vorrebbe rimanere tenacemente attaccato al suolo… forse in cerca di soluzioni?).

 

Alberi

In gergo
la gente chiama foglie
orecchie
come se avvertisse che
conoscono la musica.
Ma la lingua verde degli alberi
è un ben più antico gergo.
Chi può sapere ciò che essi dicono
quando parlano agli uomini.
Gli alberi parlano albero
come i fanciulli parlano fanciullo.
Quando un figlio
di donna e d’uomo
rivolge la parola ad un albero
l’albero  risponde
il fanciullo capisce

Jaques Prévert, da Alberi, traduzione di Roberto Carifi, Guanda Editore.

 ***

Tante foreste

Tante foreste strappate alla terra
e massacrate
distrutte
rotativizzate

Tante foreste sacrificate per la pasta da carta
di miliardi di giornali che attirano annualmente l’attenzione dei lettori
sui pericoli del disboscamento delle selve e delle foreste.

Jaques Prévert, da Poesie, traduzione di G.D. Giaghi, Guanda Editore.

 ***

Cuore di legno

Il mio vicino di casa è robusto.
È un ippocastano di corso Re Umberto,
ha la mia età ma non la dimostra.
Alberga passeri e merli, e non ha vergogna,
in aprile, di spingere gemme e foglie,
fiori fragili a maggio,
a settembre ricci dalle spine innocue
con dentro lucide castagne tanniche.
È un impostore, ma ingenuo: vuole farsi credere
emulo del suo bravo fratello di montagna
signore di frutti dolci e di funghi preziosi.
Non vive bene. Gli calpestano le radici
i tram numero otto e diciannove
ogni cinque minuti; ne rimane intronato
e cresce, storto, come se volesse andarsene.
Anno per anno, succhia lenti veleni
dal sottosuolo saturo di metano;
è abbeverato d’orina di cani,
le rughe del suo sughero sono intasate
dalla polvere settica dei viali;
sotto la scorza pendono, crisalidi
morte, che non saranno mai farfalle.
Eppure, nel suo tardo cuore di legno
sente e gode il tornare delle stagioni.

Primo Levi, da Ad ora incerta, 1984, Garzanti.

***

Prossimo lontano

Ieri sera un frassino
sul punto di dirmi
qualcosa – tacque

Octavio Paz, da Versante Est (1962-1968), in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco.


*ascoltando: Jethro Tull – Songs From The Wood


 


17 febbraio 2016

In viaggio (cercando che cosa?)

 



Moltissime persone  userebbero la famigerata vincita milionaria per  viaggiare a lungo,  e viaggiare  è sicuramente uno degli interessi più dichiarati in assoluto quando si tratta di rispondere alla domanda “che cosa ti piace fare?”.

In ogni caso, in aereo e con le valigie sempre pronte, o da fermi ma comunque spesso in bilico  sulle nuvole, penso che tutti noi usiamo il viaggio per cercare  un qualcosa che forse non sappiamo nemmeno definire, un “altrove” della nostra anima che possa riempire quello che probabilmente assomiglia molto a un vuoto.

Qui sotto tre immagini poetiche di viaggio.
C’è il viaggio come metafora della vita, di  Kostantinos Kavafis:  il poeta afferma che non bisogna avere fretta di giungere a destinazione, alla propria “Itaca”, ma bisogna approfittare del viaggio (e quindi della vita)  per crescere intellettualmente e ampliare il proprio patrimonio di conoscenze:  il senso di Itaca è proprio quello di fungere da stimolo per il viaggio, più che da meta da raggiungere fine a sé stessa.
Poi c’è il viaggio di Hermann Hesse: il viaggio come necessità del lontano, quasi come un rimedio alla mancanza di pace interiore.
Infine il viaggio di Octavio Paz, inteso come un continuo camminare sulla strada (ancora la vita). La strada come la reale residenza dell’uomo, che è perennemente in viaggio, perennemente assetato di conoscenza e angosciato dal dubbio del nulla.

Ma adesso, ovunque tu sia e dovunque tu voglia andare, con il corpo o anche solo con i pensieri… buon viaggio!

 

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro,
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente, e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va’ in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Konstantinos Kavafis da Settantacinque poesie, a cura di Nelo Risi e Margherita Dalmati, Einaudi 1992.

***

Canzone di viaggio

Sole illumina il mio cuore,
vento disperdi le mie pene e i miei lamenti!
Piacere più profondo non conosco sulla terra
se non di andare lontano.

Per la pianura seguo il mio corso,
il sole deve ardermi, il mare rinfrescarmi;
per condividere la vita della nostra terra
dischiudo festoso i miei sensi.

E così ogni nuovo giorno mi deve
nuovi amici, nuovi fratelli indicare,
finché lieto posso tutte le forze celebrare,
e di ogni stella diventare ospite e amico.

Hermann Hesse, da Dal paese di Siddharta, traduzione di Tiziana Prina e Lydia Salerno, Ugo Guanda Editore, 1993.

***

La strada

È una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre sulla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.

Octavio Paz, da Il fuoco di ogni giorno, a cura di Ernesto Franco, Garzanti, 1992.

°Ascoltando Lucio Battisti – Sì, viaggiare