Rimedi e cure (farmacia alternativa)

 


Vuoi provare un rimedio (poeticamente) naturale a qualche fastidio o 'dolore'? Dai un'occhiata a questi suggerimenti.   (Cliccando sulla scritta azzurra, comparirà l'elenco dei possibili rimedi).
Si parla di fiori di malva per i dolori dell’inverno, di foglie autunnali per ricordarci che siamo tutti uguali, di video di animali contro l’insonnia, del profumo di quel fiore per tornare indietro a quel momento, dell’edera  che insegna a resistere, del caffè che aiuta tanto e se bevuto davanti ai ciclamini aiuta ancora di più, e poi ancora del bicarbonato, della gentilezza, della luna, della musica, di restare vicini, e poi ancora…

 

I suoni che amo ascoltare

Quali sono i suoni che più mi piace ascoltare?
Suoni fievoli e stridenti, lamentosi e gai;
Il pigolare del cane della prateria è musica per le mie orecchie;
Ascolto sorridendo lo stridio della ghiandaia.
Quali sono i suoni che più mi piace ascoltare?
Suoni fiochi e consolanti, suoni pieni di allegria;
Lo squittir dello scoiattolo tra le brune foglie autunnali;
Il beccare d’un picchio nella cavità di un tronco d’albero;
Il tremulo verso di un piviere addolorato;
L’urlo dei gabbiani sul gelido mare invernale.
Quali sono i suoni che più mi piace ascoltare?
Suoni bassi e ritmati, suoni che squillano chiari;
L’abbaiare dei segugi nell’aria tersa e fredda;
Il fragore di rapide e cascate;
Il frinir dei grilli onnipresente;
Il riecheggiar selvaggio del richiamo dei coyote;
Sulle montagne, là dove il silenzio è cantante –
Impercettibile, il frullar morente di un’ala palpitante.

Everett Ruess (Stati Uniti, 1914-1934), dal Programma per il 1931 della spedizione di artisti e avventurieri, traduzione di Angelo Airò Farulla, in “Poesia”, Novembre/Dicembre 2022, anno III, n. 16, pp. 40-41

*

È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.

Rocco Scotellaro (Tricarico, 1923-1953), da È fatto giorno, Mondadori, 1954

*

Il più delle volte
non serve sprangare le porte
bruciare ogni fuso
vietarne il possesso, proibire l’uso
ci sarà sempre una porticina aperta, una vecchina che fila
una scoperta
qualcosa che non sai neppure cos’è
uno sbaglio fatto apposta per te.
Non sempre, ma a volte
occorre pungersi
sanguinare un poco
dormire tutto il sonno
che viene dopo
sorbirlo come una medicina
per svegliarti diversa
da com’eri prima.

Silvia Vecchini, da In mezzo alla Fiaba, Topipittori, 2015

*

Autunno

Hai notato che ogni foglia è diversa da tutte le altre?
Non sono neanche dello stesso colore,
variano tra loro di misure millimetriche
e quando cadono dagli alberi spinte dalla fatalità,
scivolano in modo diverso tra gli scenari dell’aria.
Alcune descrivono lente spirali, altre ruotano sul proprio asse,
ma tutte cadono, irrimediabilmente cadono
verso la solida terra dei parchi o sull’asfalto dei marciapiedi;
solo in quel momento tutte le foglie dell’albero sono identiche.

Otoño

¿Has notado que cada hoja es distinta a sus iguales?
Ni siquiera son del mismo color,
varían entre sí por milimétricas medidas
y cuando caen de los árboles empujadas por la fatalidad,
se deslizan distinto por los escenarios del aire.
Unas describen lentas espirales, otras giran sobre su propio eje,
pero todas caen, irremediablemente caen
hacia la tierra maciza de los parques o al asfalto de las aceras;
sólo en ese momento todas las hojas del árbol son iguales.

Álvaro Solís (Villahermosa, Messico, 1974), da Diario di bordo di nessuno, traduzione di Alessio Brandolini   

*

Credo nel profumo del gelsomino
che sale al primo piano
e mi ricorda. Credo
nelle foglie della sòfora
che stanno per raggiungere
la mia mano alla finestra
e di notte lo so
mi fanno la guardia.
Credo nel sussulto
che ci guida
nel segreto delle azioni
e ci dispone ad arrossire
e a porre rimedio.
Credo agli alberi spogli
che scrivono se stessi in cielo,
ai versi che rallentano
fino al sonno degli uccelli.
Credo nei fili e negli equilibri
precari, nei sentimenti
all’aperto, provati dalle bufere
spezzati dal tempo
della durezza e dell’abbandono.
Credo a quando mi ascolti
raccolto intorno al futuro
come un chicco di riso
e a quando parli senza
intenzione alcuna.
Credo alle virgole ai punti
e al bianco che fa silenzio
e consegna la prossima parola.
Credo nel fermarmi ora
a braccia aperte e piccolissima
nel paesaggio della nostra intricatezza.

Chandra Livia Candiani, da La domanda della sete,  Einaudi, 2020

*

I.

A notte fonda, se non funziona
la pastiglia, guardo gli animali
sullo schermo del computer.
Mi calmano le ali, la savana,
lo sterno carenato degli uccelli.
Aspetto gli sbadigli dei felini
quelli docili dei gatti soprattutto.
Dopo sbadigliando torno a letto.

2.

Come mai di colpo poi spariscono
senza dare spiegazioni, come mai
nessuno vuole più sentire il verso
del cavallo, nessuno dice più nitrito,
raglio, nessuno vuole più un barrito.
Sono grandi glaciazioni, gli animali
se ne vanno dalle case nottetempo.
Ci si sveglia e non c’è più l’infanzia.

Andrea Bajani, da Dimora naturale, Einaudi, 2020

 

*

Rimedi officinali

                                            a Emi

Ho deciso, amica mia,
mi curerò con il colore dei fiori:
ogni mattina a digiuno guarderò
negli occhi una rosa
e ogni sera ascolterò il canto
azzurro della lavanda.
Se gli incubi urleranno ancora
berrò foglie di edera

così, notte dopo notte, imparerò
a resistere contro ogni veleno

(se funziona ti passerò le ricette).

 

Irene Marchi,  in Poetare – Quaderno 2021, a cura di La scuola di Editoria,   Samuele Editore, 2021

*

Il caffè è sopravvalutato? Non credo:
una tazza calda tra le mani, adesso,
mi fa pensare a ciò che ho
e non a quello che mi manca

poi guardo i ciclamini comprati ieri
– come lo sanno i signori del marketing
che i fiori vanno messi proprio vicino
alle mele?– e penso che no, un buon caffè
non è mai sopravvalutato, e i fiori?
I fiori nemmeno, che sciocca!

Irene Marchi, da Dimmi come stai, Cicorivolta Editore, 2022

*

Lo so che ognuno è il gigante
delle sue ferite,
ognuno è dentro una lotta
senza fine.
Non c’è riparo al guasto
che ci attende,
non si può diluire la morte,
ma ogni giorno si può avere
un attimo di bene,
si può con umana pazienza
guardare questo mondo
che si scuce.
Se nulla è sicuro
e nulla sembra vero
restiamo vicini,
strofiniamo il buio
per farne luce.

Franco Arminio, da La cura dello sguardo – Nuova farmacia poetica, Bompiani 2020

*

Consigli per ammalarsi poco

Resta imperfetto.
Non preoccuparti se ti opprimono. Peggio per loro.
Resta pronto a cambiare.
Fatti a pezzi, ma non troppo piccoli, non ti puoi riattaccare.
Tieni conto dei tuoi difetti, non di quelli degli altri.
Cerca di conoscere bene il luogo in cui ti trovi.
Abbaglia, sfavilla senza pensare al risultato.
Bada all’attimo e all’impressione.
Non trattenerti troppo, non farti il nido.
Fai molto sesso, specialmente quando non ti sembra il caso.
Non confidare troppo nella medicina: ci sono malattie che sono pericolose solo quando sai di averle.
Sappi che i poeti sono più forti dei politici e anche dei mafiosi, ma non lo sanno, non sanno che può vivere solo chi ha le zanne di un animale nella carne. Noi siamo quello che ci accade mentre veniamo morsi.
Sappi che si continuerà ancora per un poco con le solite manfrine ma nel complesso è finita, appartieni a una specie stanca, superata.
Puoi essere sicuro che si muore e su quello che accade prima cerca di rimanere incerto.
Conduci la tua esistenza al buio e per conto tuo.
Cerca le tue parole. Chi cerca le sue parole si ammala assai poco.

Franco Arminio, da La cura dello sguardo – Nuova farmacia poetica, Bompiani, 2020

*

I corpi che hai amato
ti rimangono conficcati in quella parte di corpo
dove si radunano le cose che non possono essere più
stanno lì, pezzi di ginocchi, modi di sorridere
carichi di dolore potenziale
come il nervo del dente quell’estate
prima nulla e poi, all’improvviso
L’analgesico è il presente
questa schiena
questa carezza
questo respirarsi gli occhi
E non ditemi che comunque è bello ricordare
il corpo
vuole carne viva e capelli
e che sia morte o vitale allontanarsi, quel qualunque motivo
per cui è stato sottratto
quel corpo al mio corpo
di certo non interessa
I corpi che hai amato
ti rimangono conficcati in quella parte di corpo
dove scivolano le cose che a volte fanno male
ora, per esempio,
mi si è infiammato quel modo che avevi di camminare
ondeggiando
Un cucchiaio di citrosodina
non fa nulla
ma è buona
ne mangio ancora un po’.

Alessandra Racca, da L’amore non si cura con la citrosodina, Neo Edizioni, 2013

*

Non mi sono curato
nessuna malattia, sono tutte qui con me
assieme a questa contentezza
che mi visita ogni tanto e poi va via.
Chiamatela poesia.

Franco Arminio, da Cedi la strada agli alberi – Poesie d’amore e di terra, Chiarelettere, 2017

 

*

Resta la carta mentre mi dileguo
specchio di me ma che non è me stesso
rimedio oppure tedio quando intesso
trame di me scrivendomi e m’inseguo

Pierluigi Cappello (1967 Gemona del Friuli-2107), da Un prato in pendio, Rizzoli, 2018

*

La luna

La luna si può prendere a cucchiai
o come una pasticca ogni due ore.
È buona come ipnotico e sedativo
e dà sollievo anche
a quelli intossicati di filosofia.
Un pezzo di luna in tasca
è un amuleto migliore della zampa di coniglio:
serve per trovare chi si ama,
per essere ricco senza che nessuno lo sappia
e per tenere lontano i medici e gli ospedali.
Si può dare come dolce ai bambini
quando si addormentano,
e delle gocce di luna negli occhi degli anziani
aiutano a morire bene.

Metti una foglia tenera della luna
sotto il tuo cuscino
e vedrai quello che vuoi vedere.
Porta sempre un barattolino di aria di luna
per quando ti affoghi,
e dai la chiave della luna
ai prigionieri e ai delusi.
Per i condannati a morte
e per i condannati a vita
non c’è miglior stimolante della luna
in dosi giuste e controllate.

***

La luna

La luna se puede tomar a cucharadas
o como una cápsula cada dos horas.
Es buena como hipnótico y sedante
y también alivia
a los que se han intoxicado de filosofía
Un pedazo de luna en el bolsillo
es el mejor amuleto que la pata de conejo:
sirve para encontrar a quien se ama,
para ser rico sin que lo sepa nadie
y para alejar a los médicos y las clínicas.
Se puede dar de postre a los niños
cuando no se han dormido,
y unas gotas de luna en los ojos de los ancianos
ayudan a bien morir.
 
Pon una hoja tierna de la luna
debajo de tu almohada
y mirarás lo que quieras ver.
Lleva siempre un frasquito del aire de la luna
para cuando te ahogues,
y dale la llave de la luna
a los presos y a los desencantados.
Para los condenados a muerte
y para los condenados a vida
no hay mejor estimulante que la luna
en dosis precisas y controladas.

 
Jaime Sabines (1926, Tuxtla Gutiérrez, Messico – 1999), traduzione di Angela Saliani (fonte: https://mestierelibro.wordpress.com/2013/08/11/jaime-sabines-un-poeta/)

 

*

 

Foglietto illustrativo

Sono un tranquillante,
Agisco in casa,
funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all’udienza,
incollo con cura le tazze rotte –
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d’acqua.

So come trattare l’infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l’ingiustizia,
rischiarare l’assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti –
fidati della pietà chimica.

Sei un uomo (una donna) ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto che la vita va vissuta con coraggio?

Consegnami il tuo abisso –
lo imbottirò di sonno.
Mi sarai grato (grata) per la caduta in piedi.

Vendimi la tua anima.
Un altro acquirente non capiterà.

Un altro diavolo non c’è più.

Wislawa Szymborska, da La gioia di scrivere – Tutte le poesie (1945-2009), traduzione di Pietro Marchesani

             *

Scrivi, scrivi;
se soffri, adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile, insomma.
Se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi
che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.

Giorgio Manganelli, da Poesie, Crocetti, 2006

*

 

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro,
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente, e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va’ in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Konstantinos Kavafis da Settantacinque poesie, a cura di Nelo Risi e Margherita Dalmati, Einaudi 1992.

*

Esiste la musica.
Esiste proprio,
come lenzuolo lampada
orologio e casa,
come nuvola,
quel suo disumano orto
d’intenzione
di ascoltare l’anima
esiste. Come domino
di note che si crollano addosso e fanno
insieme. Insieme si fanno, e sono fatte
musica. Qualcosa che abbiamo
perduto o dimenticato
o rotto forse
per mani troppo grevi, qualcosa
di spezzato. Un silenzio eseguito
un’anima di ghiaccio
conservata sotto sale.
Ma cosa cosa ho perduto
io, mentre ti ascolto
cara faccia del nulla
caro amore senza direzione
care ossa: grazie grazie
c’è stato qualcuno
prima di me. È ora
di affrontare la musica.

Chandra Livia Candiani, da La bambina pugile, Einaudi, 2014

 

*

 

Se hai visto il film “Il favoloso mondo di Amélie” probabilmente non avrai dimenticato le imprese di gentilezza dell’altrettanto indimenticabile protagonista: dalle più studiate e articolate alle più semplici e fattibili, come quella di far attraversare la strada a un anziano signore non vedente e accompagnarlo alla fermata della metropolitana.

Ma quello di Amélie era un film, appunto, mentre nella realtà gli atti di gentilezza sono sempre più un’eccezione, tanto da suscitare spesso sorpresa in chi li riceve o ne è testimone.

Eppure, se per caso l’essere gentili solo per il genuino gusto di esserlo non ci interessasse, è stato dimostrato che fare qualcosa di gentile per gli altri stimola le endorfine e quindi di conseguenza dovrebbe avere un effetto positivo anche su di noi (uno studio di psicologia dell’Università della Carolina del Nord ha dimostrato che occuparsi degli altri influisce positivamente sulla nostra salute e longevità.).

Ma che cosa vuol dire essere gentili?

“Essere gentili significa mostrare attenzione nei confronti degli altri e di tutto il mondo che ci circonda, dell’ambiente, degli animali. È un’apertura all’esterno, in contrapposizione all’individualismo e all’arroganza che spesso contraddistinguono il nostro tempo” spiega Cristina Milani, vicepresidente del Movimento mondiale per la gentilezza (e fondatrice della onlus Gentletude*, di cui sotto riporto il decalogo). Nel 1997, a Tokyo, questo movimento ha dato vita per la prima volta all’evento che si festeggia ogni 13 novembre in centinaia di Paesi del mondo (vengono incentivati, per questo giorno e per la settimana relativa, dei gesti gentili nei confronti di un amico, di un collega, di uno sconosciuto, oppure vengono promossi acquisti solidali per i meno fortunati). In Italia, l’iniziativa è stata introdotta nel 2000 dal Movimento italiano per la gentilezza che (come si legge nel sito ufficiale) ricerca “una più profonda e concreta diffusione della gentilezza fra i concittadini, del senso civico, del rispetto delle regole, della cosa pubblica, dell’ambiente e delle persone, nel quadro di una più armonica convivenza tra gli uomini”.

La gentilezza ha comunque sollevato controversie fin dai tempi antichi: i filosofi dell’antica Grecia, i Padri della Chiesa, gli intellettuali del Rinascimento e i pensatori dell’Illuminismo si sono sempre divisi tra chi sosteneva o meno l’inclinazione alla gentilezza dell’animo umano. Nel 1741 il filosofo scozzese David Hume, ad esempio, rispondendo a una scuola filosofica che riteneva l’umanità irrimediabilmente egoista, si chiedeva come fosse possibile che le persone rinnegassero la gentilezza e i grandi piaceri che se ne possono trarre, perdendo così contatto con la loro realtà emotiva.

In effetti la gentilezza non è una cosa da eroi, ma è qualcosa che deve soltanto essere riscoperta, coltivata e che, magari, potrebbe anche creare una reazione a catena, un inaspettato contagio positivo, perché, proprio come dice il premio Nobel Aung San Suu Kyi (nel suo discorso sulla pace, pronunciato il 16 giugno 2012): “Ogni gentilezza ricevuta, grande o piccola, mi ha convinta che non ce ne sarà mai abbastanza nel nostro mondo […] e perfino il più piccolo gesto di gentilezza può illuminare un cuore incattivito:  la gentilezza può cambiare la vita delle persone“.

Quindi, non serve davvero essere Superman: gentilezza è sorridere a chi ci parla e a chi incontriamo (che importa se non ci conosciamo?), è cedere il posto sui mezzi pubblici a chi è più anziano o alla donna incinta (o farli passare avanti nella coda alla cassa del supermercato), gentilezza è ringraziare e salutare, è offrire un aiuto a chi ci sembra in difficoltà, è ascoltare (veramente). Gentilezza è guidare senza mandare tutti a quel paese con gestacci, è lasciar passare qualcuno sulle strisce (sarebbe un obbligo in realtà, ma ormai è un optional, di gentilezza appunto); gentilezza è rispondere alle mail e ai messaggi entro un tempo ragionevole (e in ogni caso… rispondere!), gentilezza è non sporcare l’ambiente con i nostri rifiuti (con mozziconi, gomme da masticare o fazzoletti di carta, per esempio). Gentilezza è molto altro ancora, ma tutto questo è considerato spesso come una poco moderna perdita di tempo. Un atteggiamento gentile è visto talvolta addirittura con sospetto, quasi fosse una forma di debolezza (si pensi al fenomeno del bullismo che in genere vede coinvolti come vittime i ragazzi meno aggressivi, un po’ timidi o comunque considerati più deboli o diversi). Che dire, inoltre, di quei post che è facile leggere su facebook in cui si prendono in giro o si denigrano, gratuitamente e con inutile spreco di creatività, questa o quella categoria di persone? Comunque il mondo virtuale meriterebbe un discorso a sé, tanto i comportamenti sono esasperati dalla (falsa) protezione dello schermo. Sicuramente però sono emblematici di una tendenza alla non-cortesia che contagia giovani e meno giovani.

In Elogio della gentilezza, di Adam Phillips e Barbara Taylor (Ponte alle Grazie, 2009) si afferma che: “siamo molto ambivalenti rispetto alla gentilezza, la amiamo e la temiamo: sentiamo molto acutamente la sua mancanza, ma facciamo resistenza nei confronti dei nostri impulsi generosi” e soprattutto viene fatto notare che “il sospetto” più grave a carico della gentilezza d’animo è che essa sia solo una forma di narcisismo camuffato. Siamo generosi perché la cosa ci fa sentire bene con noi stessi: le persone generose sono i drogati dell’autocompiacimento. Dovendo rispondere a questo argomento il filosofo Francis Hutcheson lo liquidò bruscamente: “Se questo è amore per sé stessi, bene, che lo sia… Nulla può essere migliore di questo amore per sé stessi, nulla più generoso”.

E, in effetti, tra un mondo totalmente privo di gentilezza e uno dove ancora ne esiste un po’, io continuerei a preferire il secondo, anche se questa gentilezza comportasse un certo autocompiacimento in chi è gentile. Tu no?

*Ecco le dieci azioni della Gentilezza che ci propone l’associazione Gentletude (citata sopra):

-Vivere bene insieme: ascoltare ed essere pazienti
-Essere aperti verso tutti: salutare, ringraziare e sorridere
-Lasciare scivolare via le sgarberie e abbandonare l’aggressività
-Rispettare e valorizzare la diversità, grande fonte di ricchezza
-Non essere gelosi del sapere: comunicare, trasmettere e condividere
-Il pianeta è uno solo, non inquinare e non sporcare
-Ridurre gli sprechi: riciclare, riutilizzare e riparare
-Seguire la stagionalità e preferire i prodotti locali
-Proteggere gli animali: non sfruttarli, non maltrattarli e non abbandonarli
-Allevare gli animali in modo etico, non infliggere sofferenze

Speriamo in un bel contagio… di gentilezza!


(Irene Marchi – Articolo già apparso su https://caffebook.it/2016/11/13/gentilezza-lasciamoci-contagiare/)

 

 

 


Commenti

Post più popolari