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4 aprile 2022

… non ferma l’amore


                                       

Oggi, tra le notizie sempre terribili della guerra in Ucraina, ho letto di una coppia che si è sposata nella metropolitana di Kharkiv (e a loro auguro di cuore una vita felice, nella propria terra e senza più guerra): la didascalia della foto diceva “La guerra non ferma l’amore.
La guerra non ferma l’amore:  è quello che esprime anche questa poesia che Izet Sarajlić dedicò alla moglie, morta durante la guerra in Bosnia.

***

La dedica

Ti dedico i miei occhi, le mie labbra, i miei denti.
Le poesie? Che te ne fai delle mie poesie scritte perché non sapevo tacere?
Che te ne fai delle mie poesie che non ti possono amare?

Com’è bello che non siamo né uccelli né devoti all’imbrunire
e non abbiamo le ali ma le braccia.
L’ultima cosa che ci attende non può essere la nostra morte,
perché i desideri del nostro sangue da qualche parte devono continuare.

Tu sei una donna, piccola,
tu sei una piccola donna,
e un immortale agosto ti ha portato nelle mie ballate.
Resta col mio ti Amo che sopravviverà a tutte le mie
lamentevoli nenie, a tutte le mie trasformazioni.
Resta accanto ai miei occhi.

Sopravviveremo a noi stessi, non solo nel tumulo delle nostre tombe,
perché abbiamo saputo, abbiamo saputo, teneri e superbi,
fuggendo dai coltelli e dalle granate uccidere gli angeli in noi
continuando a restare angeli.

Posteri, cercateci qualche volta seguendo un filo rosso,
solo i nostri corpi giaceranno sotto la terra muta,
ma calpestate piano,
per non ferire le nostre labbra,
e per non pestare i nostri sguardi morti.

1955

Izet Sarajlić (Doboj, 1930 – Sarajevo, 2002), da Chi ha fatto il turno di notte, Einaudi, Torino, 2012, traduzione di Silvio Ferrari

♥ ascoltando Frankie Goes To Hollywood – The Power Of Love https://www.youtube.com/watch?v=NyoTvgPn0rU

 

 

2 dicembre 2019

Finché c’è tempo

 




È una poesia molto condivisibile, questa (per chi non è più un ragazzino, ovviamente).
Ma a pensarci bene (e senza falsi ottimismi) c’è sempre tempo (finché c’è tempo): “un’altra volta” potrebbe cominciare già adesso.

***

Un’altra volta saprei

Troppo poco ho goduto delle piogge di primavera e dei tramonti.

Troppo poco ho assaporato la bellezza delle vecchie canzoni e le passeggiate sotto il chiaro di luna.

Troppo poco mi sono inebriato del vino dell’amicizia
benché al mondo ci fosse sì e no un paese dove non avessi almeno un paio di amici.

Troppo poco tempo ho riservato per l’amore
a disposizione del quale stava tutto il mio tempo.

Un’altra volta saprei godere incomparabilmente più nella vita.
Un’altra volta saprei.
1987

Izet Sarajlić, da Chi ha fatto il turno di notte, prefazione di Erri de Luca, traduzione di Silvio Ferrari, Einaudi, 1998

°ascoltando Bob Dylan – Subterranean Homesick Blues https://www.youtube.com/watch?v=MGxjIBEZvx0


24 novembre 2019

Verbi più o meno attuali

 



Necrologio del verbo amare

Amo –
lanciandosi sui mulini a vento gridava Don Chisciotte.
Amo –
avvelenato dalla gelosia urlava Otello.
Amo –
deponendo Ossian singhiozzava Werther.
Amo –
sobbalzando nelle carrozze di Jašvin ripeteva Vronski.
Amo –
separandosi da  Grušenka vaneggiava Dmitrij Karamazov.
Amo –
roteando la spada scandiva Cyrano.
Amo –
tornando dal comizio sussurrava Jaques Thibault.
Amo –
griderebbe anche l’eroe del romanzo contemporaneo,
       ma non glielo permette l’autore.
Insomma non sarebbe di attualità.

1979

Izet Sarajlić, da Chi ha fatto il turno di notte, a cura di Silvio Ferrari, prefazione di Erri De Luca, Einaudi, 1998

*ascoltando Nino Rota – Romeo And Juliet Theme https://www.youtube.com/watch?v=WCmUWNUzaqo

 

9 novembre 2019

Il giorno rubato

 



30 febbraio

Senza contare le periodiche misteriose scomparse del 29 febbraio
ogni anno in amore
ci depredano di un giorno.

Quand’ero giovane non ne tenevo conto,
anche senza quello
c’erano abbastanza sabati e mercoledí.

Oggi per me è importante ogni giorno
in cui ti posso guardare.

Il nostro feudo
che si estendeva per cinquant’anni di futuro
si è ridotto ad un piccolo podere contadino.

[1976]

 Izet Sarajlić, da Chi ha fatto il turno di notte, Einaudi, 2012

*ascoltando Sigur Rós – Untitled 3 - https://www.youtube.com/watch?v=UeuvegBZFuM


3 ottobre 2019

“Voglia di tenerezza”

 

“E ricordate anche quella parola poco usata che è ormai quasi sparita dall’uso, sia in pubblico che in privato: tenerezza. Non potrà farvi male. E quell’altra parola: anima – o chiamatela spirito, se preferite. Non scordatevi neanche quella. Fate attenzione allo spirito delle vostre parole, delle vostre azioni”.

Raymond Carver, da Il mestiere di scrivere

°°°

O tenerezza umana
dove sei?

Forse solo
nei libri?

1992

Izet Sarajlić (Doboj, 1930 – Sarajevo, 2002)

°°°

“(…) La tenerezza per me è un sentimento forte. Ci si arriva, è un percorso. Spesso diventiamo teneri dopo che la vita ci ha stagionato ben bene, stanato, sbocconcellato ma anche dopo aver conosciuto il male che facciamo a noi stessi indurendoci.

La tenerezza non c’è dove c’è severità, giudizio, malevolenza. Per me è un po’ come una sorella minore della compassione, meno notevole, meno in prima linea, è un po’ timida la tenerezza, ha il muso di un animale dei boschi, è schiva e delicata.

Quando diciamo di un bambino che è tenero è perché lo vediamo disarmato, senza furbizia, sprovveduto. Anche i vecchi ci muovono queste onde piccole di tenerezza, anche il loro è un disarmo, una vacuità di strategie, un’inadeguatezza a farcela sempre, a essere a livello delle aspettative.

Chi è tenero non vuole farcela a tutti i costi, vuole sentire come sta e sentire come stanno gli altri, è sorella e fratello, non è genitore, non è maestro. La tenerezza sa stare alla pari, fianco a fianco, non è frontale. Così raro oggi, che giri l’angolo e trovi un guru, ma devi girare tutto il mondo per trovare un amico sincero che pianga con te, rida con te e non ti voglia spiegare la vita e risolvere i suoi misteri.

Ecco la tenerezza trova misteri dove gli altri vedono problemi (…)”.

Chandra Livia Candiani, da Tenerezza – Incontro con Chandra Livia Candiani, Edizioni Romena, 2017

°ascoltando Alan Silvestri – Forrest Gump Theme https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=forrest+gump+theme


11 settembre 2019

Ogni anno

 


L’11 settembre  è una data che non deve essere dimenticata.
Ogni anno mi chiedo: stiamo migliorando il mondo per i nostri figli?

***

Tamara

Tamara non è ancora nata,
non sa ancora niente di Ionesco, di Beckett,
ma qui ci sono tutte le Durmitor che un giorno visiterà,
tutte le Venezie, tutte le Napoli, tutte le Lubiane del mondo.

Qui ci sono tutti i monti Everest dove si arrampicherà,
come oggi ci sale Hillary.
Tutte le poesie che scrivo, tutti i miei non scritti sonetti
annunciano il suo arrivo. Gli armadi

già attendono i suoi maglioni e le bluse.
Dovrà portare vesti del colore del cielo d’agosto quando
sembra sanguinare nel crepuscolo.
Qualcosa di chiaro, come questo prologo su di lei.
Qualcosa
che indossavano le muse
all’epoca di Ljermontov, quando scriveva del Demone e di Tamara.

Tamara non è ancora nata.
Non sa ancora niente di Dostoevskij, di Flaubert.
Nessuno può darle un appuntamento questa notte mentre
scroscia la pioggia
ostinatamente come in Prévert.

Ma qui ci sono tutti i selciati che splendida come un giambo
la incontreranno nei gennai bianchi di sogni, di desideri, di neve.
Sul suo arrivo ecco già è scritto anche un ditirambo.

Voi tutte future Tamare, prendetelo.
In dono vi offro stasera tutta la storia fino ad oggi,
tutte le sofferenze umane da Adamo ed Eva.
Se la vostra vita non sarà migliore di tutte le nostre
non accusate le stelle ma i padri.
1959

Izet Sarajlić, da Chi ha fatto il turno di notte, traduzione di Silvio Ferrari, Einaudi, 2012

 

*ascoltando John Lennon, Imagine

 


10 dicembre 2017

Mancanze


La mancanza è un sentimento quasi subdolo: si finge sollecita e corre a occupare il vuoto che abita in noi. Ma il vuoto rimane comunque vuoto, anzi brucia di più. È come bere fuoco per calmare la sete.

***

Nessuna tu

Tante donne
e nessuna tu.
A Sarajevo
duecentomila donne
e nessuna tu.
In Europa
duecento milioni di donne
e nessuna tu.
Nel mondo
due miliardi di donne
e nessuna tu.

Izet Sarajlić, da Chi ha fatto il turno di notte, Giulio Einaudi Editore 2012.

 *

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Eugenio Montale, in Satura, da Montale – Tutte le poesie, Mondadori, 1984

°ascoltando Pink Floyd – Wish You Were Here (David Gilmour live https://www.youtube.com/watch?v=3j8mr-gcgoI)


 

9 dicembre 2017

Consiglio un libro (anzi un poeta): Izet Sarajlić


Riporto alcune poesie di un poeta bosniaco straordinario (che ho scoperto solo da poco): si tratta  di Izet Sarajlić, che viene definito il cantore di Sarajevo e che a Sarajevo rimase sempre, anche quando, durante la guerra, avrebbe potuto fuggire: “Izet Sarajlic doveva essere maestro di lealtà civile restando a Sarajevo fino all’ultimo giorno di malora. Con i suoi versi si erano dati voce gli innamorati di due generazioni. Chi è stato responsabile della felicità, lo è pure dell’infelicità. Perciò rimase nella fila indiana, rasente i muri, davanti a un forno che aveva ricevuto la farina, davanti a una fontana che ricominciava. Qual è il compito di un intellettuale, di uno che ha un piccolo diritto di pubblico ascolto? Stare, condividere il guasto che tocca al suo popolo. La sua presenza in città era il migliore conforto per i concittadini (…)” scrive Erri De Luca nell’introduzione a Chi ha fatto il turno di notte? (Giulio Einaudi Editore, 2012).  Le sue poesie sono limpide e dirette e sanno raccontare la follia della guerra attraverso parole che sfuggono la rabbia, parole a volte ironiche ma comunque cariche di umanità (“O tenerezza umana,/ dove sei?/ Forse solo/ nei libri?” si chiedeva in una poesia del 1992) e d’amore: amore per la sua città e per la compagna (struggenti sono le poesie dedicate a lei dopo la sua scomparsa, una tra tutte  Quei due abbracciati, scritta nel 2000, “Quei due abbracciati sulla riva del Reno a Gothlieben/ potevamo essere anche tu ed io,/ ma noi due non passeggeremo mai più/ su nessuna riva abbracciati./ Vieni, passeggiamo almeno in questa poesia).  Ho scelto, tra le tantissime che avrei voluto  trascrivere, alcune poesie che parlano del fare poesia.

La crisi della poesia d’amore

Avendo paura
di essere definiti fuori moda
i giovani non scrivono più
poesie d’amore.
Noi vecchi
dovremo
scriverle
per loro.
Non sarà la prima volta
che il ruolo di Cristiano
viene affidato a Cirano.

1987 – 1989

 *

Non abbiate fretta, ragazzi

Non abbiate fretta di fare i poeti, ragazzi.
Restate quanto più a lungo possibile nella fase prepoetica.
Essere poeti nella vita non è lo stesso che essere poeti in un racconto.
La poesia, sono le disfatte.

Alla fine, vi aspettano, forse, davvero le rose,
ma per molto tempo – a destra e a sinistra – ci sono le spine.
Per la fama non abbiate fretta, restate invece giovani quanto più a lungo,
e solo quando non ne potrete più, proprio allora nascerà la poesia.

1964

*

Eredità

                                  a Josip Osti

I nostri avi ci hanno lasciato in eredità
degli Schonbrunn, dei Palazzi d’Inverno,
dei Ponts Charles,
delle Piazza San Marco,
senza menzionare
i Westminster
che rappresentano
i drammi di Shakespeare,
i romanzi di Tolstoi
o la “suite n. 3” di Bach.

E noi altri,
cosa lasceremo in eredità
ai nostri discendenti?

Degli snack-bar,
delle stazioni di servizio,
dei garages,
e qualche anti-romanzo.

1977

 *

Un lavoro terribile

                         ai giovani poeti

Per me voi tutti siete come figli.
Spero però che non mi riconosciate mai
come padre.

Per me
sarebbe fatale uccidere l’alunno che ho dentro.
Anche a voi raccomando
di diventare maestri il più tardi possibile.

È un lavoro terribile portare a termine la propria opera.
Un lavoro terribile.

1988

 Izet Sarajlić (Doboj 1930- Sarajevo 2002), in Qualcuno ha suonato, Multimedia Edizioni, 2001

°ascoltando U2 – (Bono, Brian Eno, Luciano Pavarotti) – Miss Sarajevo- https://www.youtube.com/watch?v=Zlmg0yzxKvQ


Ipotesi di percorso

  (Perdersi tra l'argento degli ulivi mi sembra un bellissimo programma) ***   Dobbiamo cercare sepolture nel volo delle rondini i...