Se cerchi un colore



Stai cercando una poesia che evochi in qualche modo un determinato colore? Dai un'occhiata ai testi riportati qui, e magari trovi il colore che stai cercando 👇

 

Ronda dei colori

Folle azzurro e folle verde
del lino grezzo e in fiore.
Dondolando i suoi marosi
balla l’azzurro signore.

Quando l’azzurro si sfoglia,
ecco il verde danzatore:
verde-trifoglio, verde-oliva
e il fiero verde-limone.

Ma che bellezza!
Ma che colore!

Rosso tenue e rosso vivo
–rosa e garofano arioso–
quando i verdi se ne vanno,
può esultare vittorioso.

Ballano uno dopo l’altro,
non si sa qual è il migliore,
ma i rossi ballano e infine
bruciano del proprio ardore.

Ma che follia!
Ma che colore!

Quindi il giallo sopraggiunge
forte e acceso di passione,
tutti si fanno da parte
come se fosse Agamennone.

Un po’ umano e un po’ divino
balla il santo scintillante:
gaggie, raspi tutti d’oro
e zafferano volante.

Ma che delirio!
Ma che colore!

E alla fine tutti seguono
il dio sole, quel pavone,
che li accoglie o porta via
come un padre o un ladrone.

Li avevamo qui con noi,
ma hanno perso ormai vigore:
muore la storia del mondo
quando muore il narratore!

Gabriela Mistral (Cile, 1889-1957), da Sillabe di fuoco, Bompiani, traduzione di Matteo Lefèvre



Ricetta per fare l’azzurro

Se vuoi fare l’azzurro,
prendi un pezzo di cielo e mettilo in una pentola grande,
che tu possa porre sul fuoco dell’orizzonte;
poi mescola il blu con gli avanzi di rosso
dell’alba, fino a che non si sciolga;
vuota tutto in una bacinella ben pulita,
perché non rimanga nulla delle impurità della sera.
Infine, setaccia i rimasugli dorati della sabbia
del mezzogiorno, finché il colore non aderisca al fondo di metallo.
Se, vuoi, per far sì che i colori non si separino
con il tempo, aggiungi nel liquido
un nocciolo di pesca bruciato.
Lo vedrai disfarsi, senza lasciare traccia che una volta
lì lo mettesti; e nemmeno il nero della cenere lascerà venature d’ocra
sulla superficie dorata. Potrai, allora, sollevare il colore
all’altezza degli occhi e confrontarlo con l’azzurro autentico.
Entrambi i colori ti sembreranno somiglianti, senza che
possa distinguere l’uno dall’altro.
Così ho fatto io, Abraham ben Judá Ibn Haim,
miniatore di Loulé e ho lasciato la ricetta a chi vorrà,
un giorno, imitare il cielo.

Nuno Júdice, da Meditazioni sulle rovine, traduzione di Giulia Lanciani, 1995

 

 

Elementare

E c’è che vorrei il cielo elementare
azzurro come i mari degli atlanti
la tersità di un indice che dica
questa è la terra, il blu che vedi è mare.

Pierluigi  Cappello, da Arie, in Azzurro elementare, Bur, 2013

 

*

Avvertimento

Quando sarò vecchia mi vestirò di viola
con un cappello rosso che non si abbina e che non mi dona.
Sperpererò la pensione in brandy, guanti estivi
e sandali in satin, dicendo che non me ne restano per comprare il burro.
Mi siederò sul marciapiede quando sarò stanca
sgraffignerò campioncini nei negozi e suonerò ai campanelli
farò rotolare il mio bastone sulle ringhiere dei palazzi
mi truccherò per riscattare la sobrietà degli anni verdi.
Uscirò in ciabatte nella pioggia
raccoglierò fiori nei giardini altrui
e imparerò a sputare.

Si potranno indossare orribili camicie ed ingrassare
mangiare tre chili di salsicce in una volta
o solo pane e sottaceti per una settimana
ammassare penne, matite, sottobicchieri e cianfrusaglie nelle scatole.

Purtroppo ora ci tocca vestirci per mantenerci asciutte
e pagare l’affitto e non bestemmiare per strada
e dare il buon esempio per i figli.
Avere amici a cena e leggere i giornali.

Ma non posso impratichirmi già un po’ ora?
Così chi mi conosce non rimarrà scioccato
quando improvvisamente invecchierò, e vestirò di viola.

Jenny Joseph, da Warning: When I am an Old Woman I Shall Wear Purple, Profile Books Ltd, 2021,  traduzione di Loredana Magazzeni

 

 


 


'O culore d’e pparole

Quant’è bello ‘o culore d’e pparole
e che festa addiventa nu foglietto,
nu piezzo ‘e carta –
nu’ importa si è stracciato
e po’ azzeccato –
e si è tutto ngialluto
p’ ‘a vecchiaia,
che fa?
che te ne mporta?
Addeventa na festa
si ‘e pparole
ca porta scritte
so’ state scigliute
a ssicond’ ‘o culore d’ ‘e pparole.
Tu liegge
e vide ‘o blù
vide ‘o cceleste
vide ‘o russagno
‘o vverde
‘o ppavunazzo,
te vene sotto all’uocchie ll’amaranto
si chillo c’ha scigliuto
canusceva
‘a faccia
‘a voce
e ll’uocchie ‘e nu tramonto.
Chillo ca sceglie,
si nun sceglie buono,
se mmescano ‘e culore d’ ‘e pparole.
E che succede?
Na mmescanfresca
‘e migliar’ ‘e parole,
tutte eguale
e d’ ‘o stesso culore:
grigio scuro.
Nun siente ‘o mare,
e ‘o mare parla,
dice.
Nun parla ‘o cielo,
e ‘o cielo è pparlatore.
‘A funtana nun mena.
‘O viento more.
Si sbatte nu balcone,
nun ‘o siente.
‘O friddo se cunfonne c’ ‘o calore
e ‘a gente parla cumme fosse muta.

E chisto è ‘o punto:
manco nu pittore
po’ scegliere ‘o culore d’ ‘e pparole.

Eduardo De Filippo, in Le poesie di Eduardo, Torino, Einaudi, 1976, p. 10-11

 

 



Il  nostro colore

Chiudo gli occhi e provo ad ascoltare
il colore
il mio
nascosto sotto  strati di anni
                                       di vetrine
                                       di sorrisi dovuti.
Mi sta urlando il colore
il mio
quello che ancora respira
– chiudi gli occhi anche tu? Ascòltati.
Voglio essere il colore che sono
macchiata, diversa, non mʼimporta,
la regola del camaleonte mi sta cancellando.
E tu, dove sei?
Con che cosa ti stai confondendo?

Irene Marchi, da La parte in ombra, Edizioni Ensemble, 2018 

 

 *

Su un muro

I pochi giorni
dispersi nella pianura.

Sulla strada
si addensano colori
di cose perdute.

Dicono
che sia in arrivo un’ondata di freddo.

Su un muro
una bacca di luce,
bianca, erratica.

Elisabeth Maylan (Basilea, 1937), in “Poesia”, n.21, settembre/ottobre 2023, traduzione di Annarosa Azzone Zweifel

 



 

Quello che c’è sotto il cielo

Fermati a quello che c’è sotto il cielo.
Gli astri, lasciali ruotare lassù.
Non può bastarti un filo

d’erba e d’acqua, il vento,
questo miracolo del vento tra i pini,
le fiamme dei falò che divampano

e i rami spezzati che diventano
purpurei, friabili, di cenere,
questo immenso miracolo del fuoco,

le nuvole, le rose, le api,
i corpi che si cercano con non meno
luce in sé che le albe… ti sembra poco?

Giuseppe Conte, da Poesie 1983-2015, Mondadori, 2015

 

 

 

(….) È vero. Sapeste come oggi
un cielo uniforme
di luce, un celeste
tutto di luce sapeste
come dilatava il cuore.
Avete ragione: la terra ancora
è un bel posto
e conduce le vite
per il firmamento.
Siamo nel viaggio sempre.
Traversiamo quadranti di cielo.
Tutti insieme andiamo, come unico
petto alla corrente. Unica falcata. (…)

Mariangela Gualtieri, da Voci di tenebra azzurra (I° parte), 2016

 

             *

 

È quasi primavera, io dipingo
già fuori sul terrazzo, tra odori
di mari lontani e queste vicine
piante di odori. La salvia la menta
il basilico e i sedani dipingo
su tele bianche con pochi colori.
Il verde perché son verdi le piante,
e bianco il bianco nulla della tela,
e il rosso dei tramonti su la vela
del cielo che apre un teatro vero
a questi miei pensieri. Io dipingo
la sera quando i tormenti più vivi
accendono il cielo e bruciano il cuore,
e all’alba quando già nulla è la vita.

Beppe Salvia (Potenza, 1954-1985), da Cuore (cieli celesti), 1988

 

 

 

 

Qual è il colore del tempo?
Ognuno guarda in segreto la propria tavolozza
Se il giallo è un giovedì
Perché il bianco s’impossessa del domani?
Ci sono giorni sposati al grigio
Sono immortali
Altri sono infedeli
Passano dal rosso al blu
Attraversano cieli e mari
Poi cantano da mattina a sera
Sono sole e silenzio
Qual è il colore del silenzio?
Quello dell’anima sicura
Del corpo danzante nel giardino fatato
Perché dare agli istanti un colore?
Per evitare la solitudine il pozzo secco e profondo
La notte bianca e le stelle cadenti
Come fiori dimenticati in un vaso
Lasciato sulla soglia di una casa abbandonata.

Tahar Ben Jelloun (Fès, Marocco, 1944), da Dolore e luce del mondo, La nave di Teseo, 2021

 


 


 

 

Violinista matto
che suoni là fuori
una cosa da nulla
ma che fa piangere l’anima…

Dove hai imparato
che questa tua melodia
lacera appena la veste
il cui tessuto è il giorno?

Chi ti disse un tempo,
prima che tu fossi,
che quando l’anima piange
capisce che la vita è irreale?

Chi ti insegnò prima
che tu avessi un cuore,
che il dolore porta istanti
in cui il mondo è vano?

Fernando Pessoa, da Poesie di Fernando Pessoa, a cura di Antonio Tabucchi e Maria José De Lancastre

 

             *

 

Che cosa ti accade
anima nera come pece
e a volte leggera
sotto forma di farfalla,
che cosa ti sorprende
ti supera ti vince
all’imbrunire?
Cogli l’attimo
anima nera
conta i secondi
cerca di capire
l’attimo in cui scatta
la tua metamorfosi
esattamente.

Salvatore Toma (Maglie, 1951 –1987), da Canzoniere della morte, 1999

 


 

L’autunno

 

E intanto fuori c’era l’autunno.
Non lo sapevo prima. C’era.
In ogni foglia, nell’aria, nella
luce. C’era. E io l’avevo lasciato solo
non lo avevo sorretto, non ammirato
non ero stata sbalordita dai gialli e
dai rossi che infiammava.
O dall’albero quando sta come nudo, con veste
di foglie garbata caduta ai suoi piedi.
Incredulo, l’albero – attonito
pudico. Non lo avevo guardato.
E adesso dalla finestra chiamava –
l’autunno – col suo mesto sorriso e
di nuovo io sorprendevo, adoravo.
Benvenuto a te che fai del morire
un’epopea di colori.

Mariangela Gualtieri, da Riassunto della creazione, in Quando non morivo, Einaudi, 2019

      

           *


Ci sono rocce desolate
sulla Badisco alta
giostrellate da un vento
profumato di rosmarino
e di erbe selvagge.
Un lontanissimo giorno
mi stesi a prendere il sole
a precipizio sul mare
illuso di possedere
il cielo e la terra.
Quasi quasi m’assopivo
se non c’era
il garrire alto del rondone
a volte urtante
a volte lento come d’estate
il miracolo dei papaveri.
Mi girai di lato
ammaliato da un maggiolino
a guardarlo con occhi di lente
da vicino. Mi pareva
una terrena stella vivente
amori impenetrabili segreti…
che ne sapevo
che tu eri già nata
dov’eri
e che le tue labbra di vela
i tuoi occhi
la tua smania di vivere
brillavano più dei suoi colori?

Salvatore Toma (Maglie, 1951 – 1987), da Canzoniere della morte

 

 


 

Respirare a colori

Perché ti vesti di nero? 
me lo chiesero a sedici anni
e rimasi zitta.
Oggi invece saprei rispondere:
che importa se mi vesto di nero?
ho comunque nel respiro ogni colore:
le nuvole rossarancio – sì, le vedo, e tu? –
di un qualche sogno ancora da inseguire,
il giallo vivo di certe mattine leggere,
il verde che si apre in una foglia,
la luce chiarazzurra di un ricordo tenero,
quel blu profumato di lavanda
e l’indaco che accompagna la verità
di un sorriso
perciò che importa – anche tu –
che importa se ti vesti di nero,
se ancora ti commuovi per un arcobaleno?
 
           © irene.marchi.2020

 

 


 

Come il raggio di luce, che fende
il calice di cristallo nel suo cuore
animandosi nei giochi di colori
e nelle danze di bagliori addormentati,
ha attraversato la mia mente il ricordo
del tuo sguardo di allora.
Puoi sentirmi? Questa notte ho riso.

 

Leah Goldberg (Kaliningrad, Lituania,  1911 – Gerusalemme,  1970), da Questa notte, 1964

 

                    *

Forse

 
Guariremo
dai pensieri stonati,
nodi sgraziati nella trama della vita
– sempre noi, il filo dal brutto colore?

Guariremo
dalle paure furiose
di stanze chiuse e finestre di pietra
guariremo
dal peso perenne di doverci scusare
dal veleno maledetto di alcune parole
e dal maledetto veleno di troppi silenzi.

Stiamo guarendo:
già ora non ricordiamo
chi siamo
e potremmo non voltarci
quando qualcuno urlerà
il nostro nome.

Irene Marchi, da L’uso delle parole e delle nuvole, Cicorivolta Editore, 2020

 

 


Colori

S’io riposo, nel lento divenire
degli occhi, mi soffermo
all’eccesso beato dei colori;
qui non temo più fughe o fantasie
ma la penetrazione mi abolisce.

Amo i colori, tempi di un anelito
inquieto, irrisolvibile, vitale,
spiegazione umilissima e sovrana
dei cosmici perché del mio respiro.
La luce mi sospinge ma il colore
m’attenua, predicando l’impotenza
del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre.

Ed è per il colore cui mi dono
s’io mi ricordo a tratti del mio aspetto
e quindi del mio limite.

22 dicembre 1949

Alda Merini, da La presenza di Orfeo

 

 


 

Come in un sogno,
l’amore viene con passi silenziosi.
 
Quando lei partì, la porta cigolò,
mi affrettai per richiamarla indietro,
ma il sogno diventò impalpabile,
dileguandosi nel buio.
Un tremare di luce da lontano,
un miraggio, come sangue, rosso!

Rabindranath Tagore (Calcutta, 1861- 1941), da  Petali sulle ceneri – Poesie d’amore

                    

                      *

 

Continuare ancora le ricerche
essere forti. Cercare di capire
perché e quando siamo morti.
Trovare la scatola nera e poi
ascoltare. Alla fine colorarla

Andrea Bajani, da Promemoria, Einaudi, 2017

 



 

What a wanderful world

I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world

The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin’ hands, sayin’ “How do you do?”
They’re really saying “I love you”

I hear babies cryin’, I watch them grow
They’ll learn much more than I’ll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world

°°°

Che mondo meraviglioso

Vedo alberi verdi, anche rose rosse
Le vedo sbocciare per me e per te
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Vedo cieli blu e nuvole bianche
Il benedetto giorno luminoso, la sacra notte scura
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

I colori dell’arcobaleno, così belli nel cielo
Sono anche nelle facce della gente che passa
Vedo amici stringersi la mano, chiedendo “come va?”
Ma in realtà vogliono dire “Ti amo”

Sento bambini che piangono, li vedo crescere
Impareranno molto più di quanto io saprò mai
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso
Sì, fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Scritta da George David Weisse e Bob Thiele e cantata per la prima volta da Louis Armstrong (1967-1968)

 



Rinascita

Da anni più nessuno si è occupato del giardino. Eppure
quest’anno – maggio, giugno – è rifiorito da solo,
è divampato tutto fino all’inferriata, – mille rose,
mille garofani, mille gerani, mille piselli odorosi –
viola, arancione, verde, rosso e giallo,
colori – colori-ali – tanto che la donna uscì di nuovo
a dare l’acqua col suo vecchio annaffiatoio – di nuovo bella,
serena, con una convinzione indefinibile. E il giardino
la nascose fino alle spalle, l’abbracciò, la conquistò tutta;
la sollevò tra le sue braccia. E allora, a mezzogiorno in punto, vedemmo
il giardino e la donna con l’annaffiatoio ascendere al cielo –
e mentre guardavamo in alto, alcune gocce dell’annaffiatoio
ci caddero dolcemente sulle guance, sul mento, sulle labbra.

3 giugno 1969 Karlòvasi – Samo

Ghiannis Ritsos, da Pietre Ripetizioni Sbarre, traduzione di Nicola Crocetti, Crocetti Editore, 2004

 

         *

 

Queste conchiglie

Queste conchiglie che ho trovato
saremo noi
noi acquietati levigati
senza più dolori
di bei colori
poseranno le orecchie su di noi
per ascoltare
il rumore che fa
il mare.

Vivian Lamarque (Tesero, 1946), da Poesie, 2007, Mondadori

 


 

Sui quaderni di scolaro
sui miei banchi e gli alberi
sulla sabbia sulla neve
scrivo il tuo nome

su ogni pagina che ho letto
su ogni pagina che è bianca
sasso sangue carta o cenere
scrivo il tuo nome

sulle immagini dorate
sulle armi dei guerrieri
sulla corona dei re
scrivo il tuo nome

sulla giungla ed il deserto
sui nidi sulle ginestre
sulla eco dell’infanzia
scrivo il tuo nome

sui miracoli notturni
sul pan bianco dei miei giorni
sulle stagioni fidanzate
scrivo il tuo nome

su tutti i miei lembi d’azzurro
sullo stagno sole sfatto
e sul lago luna viva
scrivo il tuo nome

sulle piane e l’orizzonte
sulle ali degli uccelli
e sul mulino delle ombre
scrivo il tuo nome

su ogni alito di aurora
sulle onde sulle barche
sulla montagna demente
scrivo il tuo nome

sulla schiuma delle nuvole
sui sudori d’uragano
sulla pioggia spessa e smorta
scrivo il tuo nome

sulle forme scintillanti
le campane dei colori
sulla verità fisica
scrivo il tuo nome

sui sentieri risvegliati
sulle strade dispiegate
sulle piazze che dilagano
scrivo il tuo nome

sopra il lume che s’accende
sopra il lume che si spegne
sulle mie case raccolte
scrivo il tuo nome

sopra il frutto schiuso in due
dello specchio e della stanza
sul mio letto guscio vuoto
scrivo il tuo nome

sul mio cane ghiotto e tenero
sulle sue orecchie dritte
sulla sua zampa maldestra
scrivo il tuo nome

sul decollo della soglia
sugli oggetti familiari
sulla santa onda del fuoco
scrivo il tuo nome

su ogni carne consentita
sulla fronte dei miei amici
su ogni mano che si tende
scrivo il tuo nome

sopra i vetri di stupore
sulle labbra attente
tanto più su del silenzio
scrivo il tuo nome

sopra i miei rifugi infranti
sopra i miei fari crollati
sulle mura del mio tedio
scrivo il tuo nome

sull’assenza che non chiede
sulla nuda solitudine
sui gradini della morte
scrivo il tuo nome

sul vigore ritornato
sul pericolo svanito
sull’immemore speranza
scrivo il tuo nome

e in virtù d’una parola
ricomincio la mia vita
sono nato per conoscerti
per chiamarti

Libertà.

Paul Éluard (Sain-Denis, Francia, 1895-1952), traduzione di Franco Fortini

 


 

Non amo il carnevale

Non amo il carnevale,
luce troppo bianca
facce troppo allegre.
Piovono colori
ma soltanto per unʼora:
domani li spazzeranno via
e solo nel mio ricordare
rimarrà tristezza
nemmeno buffa
pensando che le facce allegre
ce le dobbiamo inventare.

Irene Marchi, da La parte in ombra, Edizioni Ensemble, 2018

                     *

 

Tulipani

Di tulipani un giardino sognavo
mesi fa. Li piantai, e in attesa vegliavo.
Vidi i germogli, e il verde che piano cedeva ai colori.
Tutto, ma proprio tutto, come nei miei desideri.

Mi domando ogni giorno quanto potran durare.
Li guardo triste, i miei bei tulipani.
Il timore di perderli mi fa desiderare
che appassiscano presto – già domani.

Wendy Cope, da Guarire dall’amore, Crocetti, 2011, traduzione di Silvio Raffo

 

 



 

Calma
                 A Luis Buñuel

Dove finisce il mare?
Dove comincia il cielo?
Le barche galleggiano.
o prendono il volo?

Si è perso l’orizzonte,
nel gioco mimetico
del cielo e dell’acqua.

Si è fuso il movimento,
in un solo colore
azzurro, un azzurro calmo.

Si fondono i colori;
si ferma il movimento.

Un solo colore resta;
non c’è sopravvento.

Dove finisce il mare?
Dove comincia il cielo?

 

             *

 

Aprile è arrivato

Aprile è arrivato. E come dire che non è crudele?
Ci sono fiori (anche se non lilla), come per spezzare il cuore.
Quell’altro papavero di carne e sangue che è il cuore.
Ci sono fiori di mille colori alle finestre,
nelle aiole,
corolle sulle acque fluenti e sulle acque stagnanti,
e corolle sui mulinelli delle acque.

Brucia il rosso dei gerani contro il muro,
e quel rosso acceso mi fa male, invecchio.
Non sono più l’uomo di una volta,
eppure ugualmente mi chino per annusare le viole.

Mario Rivero (Envigado, Colombia, 1935-2009), da Dell’amore e la sua traccia, 1992, traduzione di Martha Canfield

 

         *

Nel crepuscolo bianco

Nel crepuscolo bianco venato di rosa
i monti si fanno d’aria, di tenera luce,
di un denso azzurro grigio i vicini,
di un diafano azzurro di perla i lontani.
Giù in basso, dietro la siepe dei bossi,
brillano lame verdi di lago.

Diego Valeri, da Verità di uno, (p. 17), Mondadori, 1970

 

 


Consigli a me stessa quando piove

Dormi in silenzio

Non fare rumore quando non ci sei

Coltivati
ma non covare pietre
i mattoni servono per costruire ponti
i giorni per tessere
il mattino per ricominciare
la carne è pesante per ancorare all’amore

Piangi, lasciati piovere, lasciati stare
Riposa, lasciati vegliare
Brinda, ci sono notti da ubriacare

Se le tue mani ti sembrano opache
dipingi le unghie di rosso

Ricorda che per sopravvivere bisogna disobbedire
Porta con te un ombrello a colori
Se non puoi vincerla, sfoggia la malinconia.

 Alessandra Racca, da Poesie antirughe, Neo Edizioni

 

             *

 

Io vorrei essere bambina
per accoppiare le nubi a distanza
(alte claudicanti della forma),

 
per giungere all’allegria delle piccole cose
e domandare,
come chi non lo conosce,
il colore delle foglie.
Com’era?

 
Per ignorare ciò che è verde,
il verde mare,
la risposta salubre del tramonto in ritirata,
il timido gocciolare degli astri
sul muro del vicino.

 
Essere la bambina
che cadeva d’improvviso
dentro un treno con angeli,
che arrivavano così, in vacanza,
a correre brevemente tra le uve,
o attraverso notturni
fuggiti da altre notti
di geometrie più alte.

 
Però adesso, che cosa devo essere?
Se mi sono nati questi occhi così grandi
e questi chiari desideri di sbieco.

 
Come potrò essere ora
quella che voglio io
bambina di verdi,
bambina vinta di contemplazioni
che cade da se stessa rosea

 
… se mi dolse moltissimo dire
per raggiungere nuovamente la parola
che fuggiva,
saetta scappata dalla mia carne,

 
e mi ha addolorato molto amare a tratti,
impenitente e sola
e parlare di cose incompiute,
tinte cose di bimbi,
di candore dissimulato,
o di semplici api
aggiogate a tristi rosari.

 
O essere colma di questi scatti
che mi cambiano il mondo a grande distanza.

 
Come potrò essere ora,
bambina in tumulto,
forma mutevole e pura,
o semplicemente, bambina alla leggera,
divergente in colori
e adatta per l’addio
in ogni momento.

 
Eunice Odio (1919, San José, Costa Rica – 1974, Città del Messico), da Questo è il bosco e altre poesie, traduzione di T. Pieragnolo, 2009, Via del Vento

 


 

La canzone di Aengus l’errante – The Song of Wandering Aengus

Andai al bosco di nocciòli,
Perché nella testa avevo un fuoco,
Tagliai e pelai un ramoscello di nocciòlo,
E attaccai una bacca al filo;
E quando bianche falene si alzarono in volo
E stelle come falene brillavano intermittenti,
Lanciai la bacca in un ruscello,
E pescai una piccola trota d’argento.
 
Quando l’ebbi posata a terra
Mi misi a soffiare sul fuoco per ravvivarlo,
Ma per terra cominciò ad agitarsi qualcosa,
E qualcuno mi chiamò per nome:
Si era trasformata in una fanciulla radiosa
Fiori di melo fra i capelli
Che mi chiamò per nome e scappò via
E nell’aria rischiarata svanì.
 
Sebbene sia diventato vecchio errando
Per terre di colline e valli
Scoprirò dove se n’è andata
Le bacerò le labbra e le prenderò le mani;
E camminerò in mezzo all’erba alta dai molti colori,
E coglierò fino alla fine del tempo e dei tempi,
Le mele d’argento della luna,
Le mele d’oro del sole.
 
William Butler Yeats, da The Wind among the reeds, 1899

 

 

La Bellezza esiste

Nel becco giallo-arancio di un merlo
in un fiore qualunque
nell’orizzonte perduto e lontano del mare
la Bellezza esiste
è un mistero svelato
un segreto evidente
la vita
la Bellezza esiste
e non ha paura di niente
neanche di noi
la gente.

Gianmaria Testa, da Da questa parte del mare, Einaudi, 2016.

 


Ode ad alcuni fiori gialli

Contro l’azzurro movimento i suoi lapislazzuli,
il mare, e contro il cielo,
alcuni fiori gialli.
Ottobre arriva.
E benché sia
così importante il mare che svolge
il suo mito, la sua missione, la sua grandezza
esplode
sull’arena l’oro
di una sola
pianta gialla
e si legano
i tuoi occhi
alla terra,
fuggono dal grande mare e dai suoi palpiti.
Polvere siamo, saremo.
Né aria, né fuoco, né acque,
ma
terra,
solo terra
saremo,
e forse
alcuni fiori gialli.

Pablo Neruda, dal Terzo libro delle odi (Tercer libro de las odas), 1957

 

             *

 

“… Il pensiero del nulla si spalanca nella profondità lattea del cielo
Bianco l’inverno bianco, la neve bianca,
bianca la notte
Bianca l’insonnia bianca, la morte bianca
e bianca la paura è bianca
L’universo vacuo e senza colore
Ci sta davanti come un lebbroso
Anche questo è la bianchezza della balena
La bianchezza della balena
Capite ora la caccia feroce? Il male abominevole,
l’assenza di colore”.

Vinicio Capossela, da La bianchezza della balena, in Marinai, Profeti e Balene, 2011, liberamente ispirato al celebre passo di Moby Dick, capitolo 42 (di cui sopra sono riportate alcune righe).

 

            *

Prima luce

Lattiginosa d’alba
nasce sulle colline,
balbettanti parole ancora
infantili, la prima luce.

La terra, con la sua faccia
madida di sudore,
apre assonnati occhi d’acqua
alla notte che sbianca.

(Gli uccelli sono sempre i primi
pensieri del mondo)

Giorgio Caproni, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 1983

 


 

Lieve offerta

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia –

Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.

5 dicembre 1934

Antonia Pozzi, da Lieve offerta – Poesie e prose, a cura di Alessandra Cenni e Silvio Raffo, Bietti Edizioni

 

 


Dove termina l’arcobaleno

Dove termina l’arcobaleno
Deve esserci un luogo, fratello,
Dove si potrà cantare ogni genere di canzoni,
E noi canteremo insieme, fratello,
Tu ed io, anche se tu sei bianco, e io non lo sono,
Sarà una canzone triste, fratello,
Perché non sappiamo come fa,
Ed è difficile da imparare,
Ma possiamo riuscirci, fratello, tu ed io.
Non esiste una canzone nera.
Non esiste una canzone bianca.
Esiste solo musica, fratello,
Ed è musica quella che canteremo
Dove termina l’arcobaleno.

Richard Rive, da Il fiore della libertà – Antologia delle più significative poesie di tutto il mondo che hanno dato voce con coraggio e dolore ai diritti inalienabili degli uomini, Edizioni Newton, a cura di E. Clementelli e W. Mauro.

*

 

Questo è un giorno di colore blu.
Ha cominciato il dentifricio,
il bar nei fumi del caffè,
sono blu le sigarette
le chiavi nella tasca
e la gente che non sa di me.
Blu di cani e di padroni,
blu di cose che non sono io.

Filippo Strumia (Roma, 1962), da Marciapiede con vista, Einaudi, 2016

             *

Di notte

Quando va via la luce
e il cielo è nero,
niente di niente
da guardare,
s’è chiuso il dì.
Così.

Robert Creeley (1926-2005), da Later,  traduzione di F. Binni

 

 

 

Quando

Quando si spegne il tramonto e ci si accende dentro la vecchia lampada
e tutte le voci mutano dall’ira alla tristezza
e dal sobborgo se ne vanno i fruttivendoli ambulanti,
gli arrotini, le erbivendole, gli ombrellai, allora
dal pozzo della corte escono le lumache
in doppia fila, e sopra i pubblici orinatoi
resta il cielo di un blu profondo, completamente immobile,
inchiodato solo da una stella arrugginita.

Ghiannis Ristos, da Il funambolo e la luna, Crocetti, 1984,  traduzione di Nicola Crocetti.

           *

 

Natale al Caffè Florian

La nebbia rosa
e l’aria dei freddi vapori
arrugginiti con la sera,
il fischio del battello che sparve
nel largo delle campane.
Un triste davanzale,
Venezia che abbruna le rose
sul grande canale.

Cadute le stelle, cadute le rose
nel vento che porta il Natale.

Alfonso Gatto, da Poesie d’amore, Mondadori, 1976

 


 

Tenevo un gioiello fra le dita –
e mi addormentai –
Il giorno era tiepido, i venti monotoni –
Mi dissi: “Durerà” –
 
Mi svegliai e sgridai le mie dita innocenti,
la gemma era sparita –
E adesso un ricordo di ametista
è tutto ciò che mi resta.
 

Emily Dickinson, da Silenzi, Feltrinelli, 1986, traduzione di Barbara Lanati

                     *

 

In sogno

Silenzio – grotte
di bianco cristallo
scavo
alle fiabe –
sul pianto il cuore trascorre –
sul lago celeste
con occhi grandi – cigliati
di glicine.
 

Antonia Pozzi, da Guardami: sono nuda, Barbès Editore, 2011

                                 *

 

Scritto con inchiostro verde

L’inchiostro verde crea giardini, selve, prati,
fogliami dove cantano le lettere,
parole che son alberi,
frasi che son verdi costellazioni.

Lascia che le parole mie scendano e ti ricoprano
come una pioggia di foglie su un campo di neve,
come la statua l’edera,
come l’inchiostro questo foglio.
Braccia, cintura, collo, seno,
la fronte pura come il mare,
la nuca di bosco in autunno,
i denti che mordono un filo d’erba.

Segni verdi costellano il tuo corpo
come il corpo dell’albero le gemme.
Non t’importi di tante piccole cicatrici luminose:
guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.

Octavio Paz, in Poeti ispano-americani del ‘900 di Francesco Tentori Montalto, Bombiani, 1987, traduzione di Francesco Tentori Montalto

 


 

Mattina

Acuto lampo di luce
in bottiglia verde

su mensola
lassù. Aria bella

bianca di luce,
onda,

è azzurra estate
qui.

Robert Creeley (1926-2005), da Later,  traduzione di F. Binni

 


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