Imperfezioni: e se smettessimo di nasconderle?
Si è rotto un vaso? Prendiamo la colla e
lo ripariamo, stando bene attenti a nascondere il più possibile le crepe
(se non buttiamo direttamente i cocci e compriamo un vaso nuovo). La
vita ci ha regalato una o più ferite (nel fisico e nei sentimenti)?
Stiamo bene attenti a non farle vedere: “Come stai?” – “Benissimo!” è
l’ovvia risposta nel novanta per cento dei casi. La tendenza generale è
quella di nascondere: le crepe, le rotture, le suture, le debolezze, il
nostro essere fallibili.
Nascondere tutto questo soprattutto agli occhi degli altri, ma molto
spesso anche a noi stessi: pensiamo che una crisi sia qualcosa di
negativo, sempre e comunque, ma quello che impariamo, e ciò in cui
evolviamo durante e dopo un periodo di difficoltà e disorientamento, è
talvolta sorprendente (del resto la parola crisi deriva dal greco krino
cioè separare e, in senso lato, discernere, giudicare, valutare, quindi
ha anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di riflessione,
di valutazione, di scelta, può trasformarsi nel presupposto necessario
per un miglioramento o una rinascita). Comunque anche le crisi sono
parte della nostra storia e non andrebbero nascoste come fossero dei
crimini: se ci siamo ritrovati a pezzi e ci siamo ricostruiti, non è necessario nascondere le aggiustature, anzi, forse dovremmo esaltare la storia di questa ricostruzione.
Il Giappone, proprio riguardo agli
oggetti rotti o con pezzi mancanti, ha una bellissima filosofia e
modalità di intervento, che potrebbe essere definita elogio dell’imperfezione.
Si tratta della tecnica del kintsugi o del kintsukuroi
(dal giapponese “riparare con l’oro”) che risale al XV secolo: gli
oggetti in ceramica che si sono rotti vengono riparati o ricostruiti
saldando i vari pezzi con una combinazione di lacca e di colla di riso
su cui viene applicata della polvere d’oro o d’argento, o anche di altri
metalli, prima che la lacca si solidifichi. Questa tecnica non nasconde
le incrinature, le sbeccature e i segni del tempo, ma li fa propri per
esaltarli e farli apparire sotto un’altra forma addirittura più pregiata
dell’originale. Infatti in questo modo gli oggetti, da rotti, si
trasformano in oggetti preziosi, sia dal punto di vista economico (dato
l’utilizzo di materiali pregiati), sia dal punto di vista artistico, in
quanto ogni oggetto diventa irripetibile e quindi unico. Il kintsugi
porta per questo in sé un messaggio altrettanto prezioso:
l’imperfezione di una crepa o di una ferita può essere l’origine di una
nuova preziosità estetica e interiore. Viene creata una nuova bellezza
in quello che prima veniva percepito come un difetto: le crepe sono
messe in evidenza e addirittura brillano, diventano la parte più
importante dell’oggetto perché narrano la storia stessa di
quell’oggetto. Allo stesso modo, le nostre ferite e il dolore che queste
hanno comportato, non andrebbero cancellate, truccate, coperte, ma
riconosciute, elaborate con pazienza e cura per dare vita a una nuova
essenza che addirittura può brillare e, anzi, merita di essere messa in
luce: “É il tempo che hai dedicato alla tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante” dice la volpe di Saint-Exupéry al Piccolo Principe. In fondo, nella vita è inevitabile cadere e incrinarsi, ma quasi nulla è realmente irreparabile e la riparazione può portare con sé una grande ricchezza.
Ma in quest’epoca narcisistica (e schiava di photoshop)
può esserci spazio anche per qualcosa che non sia sano, nuovo e senza
alcun difetto? Dovremmo trovarlo questo spazio perché a forza di
mascheramenti, trucchi e ritocchi é altissimo il rischio che la nostra
vera essenza diventi trasparente come la colla che usiamo per aggiustare
quel vaso rotto di cui parlavo all’inizio. Forse è bene prendere spunto
dal kintsugi e dal suo messaggio metaforico e cominciare a
valorizzare tutta la nostra storia, compresi il dolore e le imperfezioni
(di ogni tipo) che non possono essere esclusi totalmente dalle nostre
vite. Anche perché, forse: “L’amore con cui si rimettono a posto i
frammenti di un vaso rotto è più forte di quello che ha creato la
simmetria che ne garantiva l’interezza” (Derek Walcott, nel suo discorso alla consegna del premio Nobel per la letteratura, nel 1992).