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Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1889 |
«In un
quadro vorrei esprimere qualcosa di consolante come una musica. Vorrei
dipingere uomini, o donne, con quel non so che di eterno, che un tempo
era simboleggiato dal nimbo, e che noi cerchiamo per mezzo dello stesso
sfavillio, la vibrazione delle nostre colorazioni», così Vincent Van
Gogh scriveva al fratello Theo dal manicomio di Sain-Rémy-de-Provence
dove lui stesso chiese di essere internato nel dicembre del 1889. Qui,
nella sua cella, nell’isolamento e nel buio mentale di quel periodo,
dipinse molte delle sue tele più famose: ci sono la luce e il sole della
Provenza. E ci sono le stelle.
Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena di loro.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come di un braccio o delle gambe?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l’essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà infine,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un’altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così,
come un perdono?
Fernando Pessoa, da Poesie in Poesie scelte, traduzione di Luigi Panarese, Passigli Poesia
***
Stelle
Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio,
ritornerà scintillamento nuovo.
Giuseppe Ungaretti, 1927, da Sentimento del tempo
***
Stelle senza nome
I nomi delle stesse sono belli:
Sirio, Andromeda, l’orsa, i due Gemelli.
Chi mai potrebbe dirli tutti in fila?
Son più di cento volte centomila.
E in fondo al cielo, non so dove e come,
c’è un milione di stelle senza nome:
stelle comuni, nessuno le cura,
ma per loro la notte è meno scura.
Gianni Rodari, da Filastrocche in cielo e in terra
°ascoltando Nick Drake, Northern Sky, https://www.youtube.com/watch?v=S3jCFeCtSjk)