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21 aprile 2018

Trovarli è difficile (i parcheggi, e i perché dati in risposta. I secondi nemmeno a pagamento)

 


Da bambini chiediamo insistentemente il perché di ogni cosa. Poi smettiamo di farlo: probabilmente capiamo che non esistono risposte certe (e talvolta nemmeno incerte). Oggi, per esempio, vorrei chiedere un altro perché? ma so già che non avrò mai una risposta e quindi… non lo chiedo.

***

L’oscurità

Non so dove vanno questi giorni miei
né dove mi portano queste notti.
Non so.

Non so il perché di questa fitta bruma
su tutte le attese,
né il perché del negletto disordine
su tutte le fatiche,
e nemmeno il perché dell’oblio mesto,
su quel che si è amato.

Nebbia.
Chi mi dirà stanotte cosa sono
i volti, le cose e i ricordi dei giorni passati?
E dove vanno questi giorni miei
E perché s’inebria il tenebroso cuore mio?
Dove? Perché?

Ivo Andrić, da Poesie scelte (Le Lettere, 2000), a cura di S. Šmitran

*

Perché

Ha bisogno di qualche ristoro
il mio buio cuore disperso

Negli incastri fangosi dei sassi
come un’erba di questa contrada
vuole tremare piano alla luce

Ma io non sono
nella fionda del tempo
che la scaglia dei sassi tarlati
dell’improvvisa strada
di guerra

Da quando
ha guardato nel viso
immortale del mondo
questo pazzo ha voluto sapere
cadendo nel labirinto
del suo cuore crucciato

Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione
ma si scopriva a seguire
come una scia
una scomparsa navigazione

Guardo l’orizzonte
che si vaiola di crateri

Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi

Reggo il mio cuore
che s’incaverna
e schianta e rintrona
come un proiettile
nella pianura
ma non mi lascia
neanche un segno di volo

Il mio povero cuore
sbigottito
di non sapere.

Carsia Giulia 1916

Giuseppe Ungaretti, da L’allegria – Il porto sepolto

°ascoltando  Looking For An Answer [Live from the Hollywood Bowl 2017] – Linkin Park https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=labrkIEGxyA


2 febbraio 2018

Nella nebbia

 


Qualche mese fa. In autostrada, di notte, improvvisamente dentro a un banco di nebbia fittissima: ho pensato seriamente non ne esco intera. Detesto (un po’ come tutti) la nebbia che diventa un pericolo sulle strade. Ma, fuori dalle strade, la nebbia sa anche essere poetica. Intanto, vagare nella nebbia è un po’ una metafora della vita: vai avanti (perché, come in autostrada, non ti puoi fermare), ma non sai (non vedi) dove stai andando e speri che qualcosa non ti travolga all’improvviso, come speri di non andare tu addosso a nulla. Ogni tanto vedi più chiaramente, ma poi la nebbia ti riavvolge e avanti così tra banchi infiniti. Ma, metafore a parte,  questo senso di realtà ovattata, di suoni lenti, di sospensione del tempo ha qualcosa di magico. O no?

***

All’uscita del cinema Marcovaldo aprì gli occhi sulla via, tornò a chiuderli, a riaprirli, non vedeva niente. Assolutamente niente. Neanche a un palmo dal naso.
Nelle ore in cui era restato là dentro, la nebbia aveva invaso la città, una nebbia spessa, opaca, che involgeva le cose e i rumori, spiaccicava le distanze in un spazio senza dimensioni, mescolava le luci dentro il buio trasformandole in bagliori senza forma né luogo.
Marcovaldo si diresse macchinalmente alla fermata del 30 e sbatté il naso contro il palo del cartello. In quel momento, s’accorse d’essere felice: la nebbia, cancellando il mondo intorno, gli permetteva di conservare nei suoi occhi le visioni dello schermo panoramico. Anche il freddo era attutito, quasi che la città si fosse rincalzata addosso una nuvola come una coperta.
Marcovaldo, imbacuccato nel suo pastrano, si sentiva protetto da ogni sensazione esterna, liberato nel vuoto, e poteva colorare questo vuoto con le immagini dell’India, del Gange, della giungla, di Calcutta. Venne il tram, evanescente come un fantasma, scampanellando lentamente. Le cose esistevano appena quel tanto che basta; per Marcovaldo quella sera lo stare in fondo al tram, voltando la schiena agli altri passeggeri, fissando la notte fuori dai vetri, era la situazione perfetta per sognare a occhi aperti, per proiettare davanti a se un film ininterrotto su uno schermo sconfinato.

Italo Calvino, da Marcovaldo (Inverno – La fermata sbagliata), Einaudi, 1963

***

                                                               alla nebbia
Non alzarti polverosa nebbia
resta bassa così non svanire
come le bolle di sapone come
le persone usaci come alberi restaci
impigliata abbracciata come
alba come attak come
madre, stringici come un vestito
stretto portaci via nella tua
geografia polverosa nebbia
gesso nostro e nostro cancellino
su pagina bianca nostra delicata
matita mina punta fine fine 0,5?
H8 o 9? no non dirli a nessuno
i tuoi numeri segreti siamo sapiens
cattivi non li meritiamo.
 
P.S. scommetterei su una tua media
miopia, cinque virgola cinque
oppure sei, cara nebbia mia?

Vivian Lamarque, da Dedicate, in Madre d’inverno, 2016, Mondadori

 

C’è la nebbia che ci cancella

Nasce forse un fiume quassù

Ascolto il canto delle sirene
del lago dov’era la città

Giuseppe Ungaretti, da L’Allegria

°ascoltando  Van Morrison – Into The Mystic https://www.youtube.com/watch?v=syIUmrSJWAU


31 gennaio 2018

Con parole accese



Nulla che sia scolorito, senza calore e senza battito.

***

Non mi piacciono le poesie vigliacche
che si bendano gli occhi

Mi piacciono quelle
che esplodono in bocca
che scrocchiano sotto i denti

O quelle sdraiate al sole
con i gatti
a stirarsi e a fare le fusa

Anise Koltz, da Il mangiatore di fuoco, 2003

 ***

I battiti del mio cuore
segnano il ritmo
delle mie poesie
 
Il respiro del mondo
si accelera
 
La pagina brucia
senza bruciare

Anise Koltz, da Somnambule du  jour – Poèmes choisis, ed. Gallimard, 2016

 


°ascoltando Santana – Soul Sacrifice https://www.youtube.com/watch?v=3F3Cjr32QyI


12 aprile 2016

E comunque ci sono i fiori

 



I fiori non sono presenze retoriche: sono semplici, sono veri. E sono belli.  Consolano e fanno compagnia: se ci perdiamo a guardarli mentre ancora respirano nel loro prato o sul loro albero, la consolazione di solito è doppia (sia per noi che per loro!), ma anche due fiori di campo nel vaso vuoto della marmellata possono illuminare un angolo (di una stanza, di una giornata, di un groviglio di pensieri…).
E in ogni caso, regalare un fiore non potrà mai essere sbagliato.

 

Mughetto fiore piccino
calice di enorme candore
sullo stelo esile
innocenza di bimbi gracile
sull’altalena del cielo

Giuseppe Ungaretti, da Poesie disperse, in Giuseppe Ungaretti – Vita d’un uomo – Tutte le poesie,  Mondadori

 ***

Concessione

Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa.

Giorgio Caproni, in Res Amissa

 ***

La fiorita rama

Col vento, contro il vento,
s’agita sempre la fiorita rama;
sempre tra giorni chiari e giorni oscuri,
tra volere e svolere,
simile a un bimbo s’agita il mio cuore.
Finché, caduti i fiori,
la rama è ferma, carica di frutti;
finché il cuore, di fanciullezza sazio,
ha la sua pace, e sa:
pien di gioia e non vano
era l’inquieto gioco della vita

 
Hermann Hesse,  versione di Diego Valeri in Poesie scelte, da  Heman Hesse – Saggi e poesie, Mondadori.

***

L’inquietudine del rosaio

La fioritura del rosaio inquieto
brucia la linfa che gli dà alimento.
Guarda, le rose cadono, son tante
che di quel male morirà la pianta!
Immaturo è il rosaio, la sua vita impaziente
si estingue per dar fiori precipitosamente.

Alfonsina Storni, da “Poesia”, n. 307, settembre 2015, traduzione di Silvio Raffo.

 

° Ascoltando  Nick Drake – Blossom Friend

 

24 febbraio 2016

Nella lista delle cose da fare: guardare le stelle

 


Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1889


«In un quadro vorrei esprimere qualcosa di consolante come una musica. Vorrei dipingere uomini, o donne, con quel non so che di eterno, che un tempo era simboleggiato dal nimbo, e che noi cerchiamo per mezzo dello stesso sfavillio, la vibrazione delle nostre colorazioni», così Vincent Van Gogh scriveva al fratello Theo dal manicomio di Sain-Rémy-de-Provence dove lui stesso chiese di essere internato nel dicembre del 1889. Qui, nella sua cella, nell’isolamento e nel buio  mentale di quel periodo, dipinse molte delle sue tele più famose: ci sono la luce e il sole della Provenza. E ci sono le stelle.

 

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena  di loro.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come di un braccio o delle gambe?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l’essere triste lume o un sorriso…

Non ci sarà infine,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un’altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così,
come un perdono?

Fernando Pessoa, da Poesie in Poesie scelte, traduzione di Luigi Panarese, Passigli Poesia

 ***

Stelle

Tornano in alto ad ardere le favole.

Cadranno colle foglie al primo vento.

Ma venga un altro soffio,
ritornerà scintillamento nuovo.

 
Giuseppe Ungaretti, 1927, da Sentimento del tempo

 ***

Stelle senza nome

I nomi delle stesse sono belli:
Sirio, Andromeda, l’orsa, i due Gemelli.
Chi mai potrebbe dirli tutti in fila?
Son più di cento volte centomila.
E in fondo al cielo, non so dove e come,
c’è un milione di stelle senza nome:
stelle comuni, nessuno le cura,
ma per loro la notte è meno scura.

Gianni Rodari, da Filastrocche in cielo e in terra

°ascoltando Nick Drake, Northern Sky, https://www.youtube.com/watch?v=S3jCFeCtSjk)




3 febbraio 2016

Ali

 



Solo alcune poesie che parlano di libertà  o di chi vuole essere libero: parole libere, quindi. Libertà  di essere e di sognare,  libertà di espressione, di cambiamento e di rivoluzione. Perché le ali, se noi non vogliamo, non ce le può togliere nessuno.

Catene d’acciaio

Quante volte è stata tolta dalle labbra
la mia canzone e quante volte è stato
azzittito il sussurro del mio spirito poetico!
Il significato della gioia è stato
sepolto dalla febbre della tristezza.

Se con i miei versi tu notassi una luce
questa sarebbe il frutto delle mie profonde immaginazioni.
Le mie lacrime non sono servite a niente
e non mi rimane altro che la speranza.

Nonostante io sia figlia della città della poesia,
i miei versi furono mediocri.
La mia opera è come una pianta priva di cure,
da cui non si può pretendere molto.

Nell’archivio della storia,
questo è tutto ciò che mi rappresenta.

Nadia Anjuman, poetessa e giornalista afghana uccisa dal marito a 25 anni, nel 2005, per aver declamato pubblicamente le sue poesie.

 ***

Per i morti della resistenza

Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.

Giuseppe Ungaretti

 ***

Spazio spazio, io voglio

Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

Alda Merini, da Vuoto d’amore

 ***

La libertà

Vorrei essere libero, libero come un uomo.

Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

Vorrei essere libero libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

Vorrei essere libero libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto
che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza.
Con addosso l’entusiasmo
di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione

Giorgio Gaber, da Dialogo tra un impegnato e un non so, scritta con Sandro Luporini,1972.

°ascoltando John Lennon, Imagine