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2 febbraio 2022

Febbraio da vivere

 

Nel mio calendario mentale, febbraio è sempre scritto un po’ così: con un inchiostro azzurrino e immerso in una nebbia che ne sfuma i contorni. Dopo un gennaio sempre lunghissimo e pieno di buoni propositi, già mi aspetto marzo con chissà quale primavera! Così febbraio passa un po’ in sordina, una specie di (breve) corridoio verso un altrove. Che poi, se non stiamo attenti, tutta la vita ci diventa così: un corridoio da attraversare verso una non ben definita fioritura (ma… ci sono fiori anche a febbraio!).

 

Come tutto scompare

 
Come tutto scompare veloce
quando viene sera, e il sole se ne va
oltre le colonne d’Ercole
a fare capriole sull’Atlantico.
Il Mar Ligure si appiattisce in una lastra
che non lo diresti nemmeno più un mare
e una muraglia nebbiosa di rosa
sporco si disfa come la scia luminosa
dell’aereo, unica traccia rettilinea in cielo
che sembra averlo bucato per andarsene
più in là.
 
Come tutto scompare, come breve
è il giorno per chi ne ama l’essenza
come breve la notte che si preannunzia
nitida di luna a gobba crescente
come tutto ritorna e ritorna
al niente.
 
Come è corto Febbraio
come è corta la vita
per chi ne ama l’essenza
incessabile, infinita.
 
Giuseppe Conte (Imperia, 1945), da Ferite e rifioriture, Mondadori, 2006

° ascoltando Pink Floyd – Untitled (“The Endless River”) https://www.youtube.com/watch?v=WPOaP18_I8U

 

8 settembre 2019

È limpido o c’è nebbia?




Vedere chiaro

Tutta la poesia è luminosa, persino
la più oscura.
È il lettore che ha talvolta,
al posto del sole, nebbia dentro di sé.
E la nebbia non permette mai di vedere chiaro.

Se ritornerà
un’altra volta e un’altra volta
e un’altra volta
a queste sillabe infiammate
rimarrà cieco da tanto chiarore.
Sia felice se arriverà.

*

Ver claro

Toda a poesia è luminosa, até
a mais obscura.
O leitor é que tem às vezes,
em lugar do sol, nevoeiro dentro de si.
E o nevoeiro nunca deixa de ver claro.

Se regressar
outra vez e outra vez
e outra vez
a essas sílabas acesas
ficará cego de tanta claridade.
Abençoado seja se lá chegar.

Eugenio De Andrade (1923,Póvoa da Atalaia, Portogallo – 2005), testo e traduzione tratti da http://www.filidaquilone.it/num004andrade)

°ascoltando Creedence Clearwater Revival – Long As I Can See The Lighthttps://www.youtube.com/watch?v=SFP5afPweVI

 

6 febbraio 2019

Serve luce?

 

(Conserviamo la luce che abbiamo dentro per certi giorni pieni di nebbia)

***

 

Densa nebbia bianca
sul campo
corridoi di luce nella nebbia
dicono che si vede solo ciò che riflette
quello che portiamo dentro
corridoi di luce nella nebbia.

          *

          Densa niebla blanca
          sobre el campo
          corredores de luz entre la niebla
          dicen que solo se ve lo que espeja
          lo que llevamos dentro
          corredores de luz entre la niebla.


Mónica Tracey (Buenos Aires), da Hay que dejar de ser hermosa, Hilos, 2018

°ascoltando Radiohead-Fog https://www.youtube.com/watch?v=dskpbt_2pRg


14 marzo 2018

Il faro?

 

Prima o poi si vedrà un faro (speriamo non ci sia troppa nebbia).

***

Sulla riva

I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all’oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? Ti spero in qualche porto.
L’uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l’aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.

Mario Luzi, da Onore del vero (1957)

*ascoltando Santana – El Farol https://www.youtube.com/watch?v=-OOgLsoavJI





2 febbraio 2018

Nella nebbia

 


Qualche mese fa. In autostrada, di notte, improvvisamente dentro a un banco di nebbia fittissima: ho pensato seriamente non ne esco intera. Detesto (un po’ come tutti) la nebbia che diventa un pericolo sulle strade. Ma, fuori dalle strade, la nebbia sa anche essere poetica. Intanto, vagare nella nebbia è un po’ una metafora della vita: vai avanti (perché, come in autostrada, non ti puoi fermare), ma non sai (non vedi) dove stai andando e speri che qualcosa non ti travolga all’improvviso, come speri di non andare tu addosso a nulla. Ogni tanto vedi più chiaramente, ma poi la nebbia ti riavvolge e avanti così tra banchi infiniti. Ma, metafore a parte,  questo senso di realtà ovattata, di suoni lenti, di sospensione del tempo ha qualcosa di magico. O no?

***

All’uscita del cinema Marcovaldo aprì gli occhi sulla via, tornò a chiuderli, a riaprirli, non vedeva niente. Assolutamente niente. Neanche a un palmo dal naso.
Nelle ore in cui era restato là dentro, la nebbia aveva invaso la città, una nebbia spessa, opaca, che involgeva le cose e i rumori, spiaccicava le distanze in un spazio senza dimensioni, mescolava le luci dentro il buio trasformandole in bagliori senza forma né luogo.
Marcovaldo si diresse macchinalmente alla fermata del 30 e sbatté il naso contro il palo del cartello. In quel momento, s’accorse d’essere felice: la nebbia, cancellando il mondo intorno, gli permetteva di conservare nei suoi occhi le visioni dello schermo panoramico. Anche il freddo era attutito, quasi che la città si fosse rincalzata addosso una nuvola come una coperta.
Marcovaldo, imbacuccato nel suo pastrano, si sentiva protetto da ogni sensazione esterna, liberato nel vuoto, e poteva colorare questo vuoto con le immagini dell’India, del Gange, della giungla, di Calcutta. Venne il tram, evanescente come un fantasma, scampanellando lentamente. Le cose esistevano appena quel tanto che basta; per Marcovaldo quella sera lo stare in fondo al tram, voltando la schiena agli altri passeggeri, fissando la notte fuori dai vetri, era la situazione perfetta per sognare a occhi aperti, per proiettare davanti a se un film ininterrotto su uno schermo sconfinato.

Italo Calvino, da Marcovaldo (Inverno – La fermata sbagliata), Einaudi, 1963

***

                                                               alla nebbia
Non alzarti polverosa nebbia
resta bassa così non svanire
come le bolle di sapone come
le persone usaci come alberi restaci
impigliata abbracciata come
alba come attak come
madre, stringici come un vestito
stretto portaci via nella tua
geografia polverosa nebbia
gesso nostro e nostro cancellino
su pagina bianca nostra delicata
matita mina punta fine fine 0,5?
H8 o 9? no non dirli a nessuno
i tuoi numeri segreti siamo sapiens
cattivi non li meritiamo.
 
P.S. scommetterei su una tua media
miopia, cinque virgola cinque
oppure sei, cara nebbia mia?

Vivian Lamarque, da Dedicate, in Madre d’inverno, 2016, Mondadori

 

C’è la nebbia che ci cancella

Nasce forse un fiume quassù

Ascolto il canto delle sirene
del lago dov’era la città

Giuseppe Ungaretti, da L’Allegria

°ascoltando  Van Morrison – Into The Mystic https://www.youtube.com/watch?v=syIUmrSJWAU


Ipotesi di percorso

  (Perdersi tra l'argento degli ulivi mi sembra un bellissimo programma) ***   Dobbiamo cercare sepolture nel volo delle rondini i...