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4 ottobre 2024

Consiglio (di poesia)

 


Consiglio un libro di poesie? No, consiglio un d i s c o  di poesie. Di un p o e t a schivo e ”schivato” in vita, e solo dopo parecchi anni dalla sua morte finalmente riconosciuto e apprezzato. Parlo di Nick Drake e del suo album Pink Moon (del 1972, l’ultimo dei tre registrati in vita). Un disco essenziale, minimalista: musica e poesia fatte soltanto di voce e chitarra (e minimi accenni di pianoforte), registrato in due sole sessioni notturne.  Una musica-poesia senza tempo, senza orpelli, profonda e assolutamente vissuta (e sofferta), come solo la vera poesia.

Riporto il testo del brano che chiude, anche idealmente, l’album: From the morning. Un testo che rischiara, che parla di alba (dopo il lungo buio)  e si fa quasi esortazione: vai a giocare il gioco che hai imparato/ dal mattino.


 

From the morning

 

 

A day once dawned, and it was beautiful
A day once dawned from the ground

 

Then the night she fell
And the air was beautiful
The night she fell all around

 

So look, see the days
The endless coloured ways
Go play the game that you learnt
From the morning

 

And now we rise
And we are everywhere
And now we rise from the ground
And see she flies
She is everywhere
See she flies all around

 

So look, see the sights
The endless summer nights
And go play the game that you learnt
From the mornin'

 

Nick Drake (1948-1974), dall'album Pink Moon, 1972

 

 

 

Dal mattino

 

Una volta un giorno albeggiò, ed era bellissimo

Una volta un giorno albeggiò dalla terra

 

Poi cadde la notte

E l’aria era bellissima

La notte cadde tutt’intorno

 

E allora vedi, guarda i giorni

Le infinite strade colorate

E vai a giocare il gioco che hai imparato

Dal mattino

 

E ora sorgiamo

E siamo ovunque

E ora sorgiamo dalla terra

E guardala volare

Lei è ovunque

Guardala volare tutt’intorno

 

E allora vedi, guarda ciò che si apre alla visione

Le notti d’estate senza fine

E vai a giocare il gioco che hai imparato

Dal mattino

 

°ascoltando Nick Drake, From the Morning - https://www.youtube.com/watch?v=xPe5ZQx0OpQ

 

20 dicembre 2016

Antonia e Nick: qualcosa in comune



Di chi sto parlando? Sto parlando di due artisti, lei poetessa italiana, lui cantautore (folk) inglese, morti entrambi a ventisei anni (Antonia suicida mediante barbiturici e Nick per overdose di antidepressivi, ma non è mai stato chiaro se fosse premeditata oppure no). Due artisti che hanno scritto parole (e musica) di straordinaria bellezza e intensità, ma che in vita rimasero sconosciuti ai più o comunque non vennero capiti, e solo dopo la loro scomparsa sono stati “rivalutati” e giustamente apprezzati . Sto parlando di Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938) e di Nick Drake (Yangon, Birmania, 19 giugno 1948 – 25 novembre 1974, Tanworth-in-Arden, Inghilterra).

Non sono certo gli unici artisti che (in ogni epoca)  hanno cominciato ad essere apprezzati solo dopo la morte, ci sono stati tantissimi altri casi simili  (e ci si potrebbe anche porre qualche domanda sui motivi di tutte queste scoperte sempre troppo tardive): il compositore Johann Sebastian Bach, i pittori Johannes Vermeer e Vincent Van Gogh, gli scrittori Franz Kafka, H.P. Lovecraft, Hermann Melville, Goliarda Sapienza, Stieg Larsson, solo per citarne alcuni.

Ma ho scelto di parlare  proprio di Antonia Pozzi e Nick Drake, accostandoli, perché  nei loro versi  è (secondo me) possibile ritrovare la stessa struggente malinconia e  lo stesso senso di solitudine esistenziale, espressi tra l’altro da entrambi con un  tono schivo e delicato, ma assolutamente sincero e incurante dei modelli imperanti del loro tempo.  Le parole che danno vita alle loro poesie e canzoni sembrano molto spesso fluttuare, quasi evanescenti, in un’atmosfera rarefatta  (la voce di Drake è poi inconfondibile: evocativa, limpida  e al contempo calda, sebbene egli cantasse con un filo di voce), ma hanno una profondità  emotiva innegabile. Profondità che senza dubbio si deve alla sensibilità accentuata e all’irrequietezza interiore che essi conobbero nella loro breve vita: tutti e due infatti soffrirono di depressione che, direttamente o indirettamente, fu la causa della loro morte.

Antonia Pozzi e Nick Drake furono entrambi molto timidi, estremamente riservati, e trovarono nella scrittura un modo per essere veramente liberi, una sorta di rifugio, ma che non fu mai evasione totale dalle cose della vita: queste infatti sono il vero oggetto dei loro versi,  che rincorrono incessantemente il senso della vita, della morte, dell’amore. Lievi e profondi allo stesso tempo, quindi, i loro testi: sia Antonia Pozzi (le cui poesie furono definite da Montale  come  “ridotte al minimo di peso”) che Nick Drake (tutte le canzoni sono piene di lirismo, ma molto solide dal punto di vista melodico, e assolutamente mai banali) ci portano in un mondo ricco di domande, alla ricerca di ascolto e accettazione (le loro parole sembrano urla sussurrate), e tanta, tantissima natura: cieli, albe, nebbie, sere, lune, stelle, sole. La natura (più  limpida in Antonia, più misteriosa in Nick) è infatti una presenza costante nella loro produzione poetica e musicale, e viene evocata da entrambi attraverso i loro occhi eternamente giovani (quasi di bambini, anche se sempre troppo maturi per la loro età), occhi di chi si sente minuscolo, talvolta accolto, ma più spesso sperduto, di fronte all’immensità dagli elementi naturali.

Vediamo per esempio come nei due artisti  ci sia la stessa voglia di innalzarsi verso il cielo,  lo stesso anelito verso l’azzurro:

(…) Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.

Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.

(Antonia Pozzi da Prati, 31 dicembre 1931)

 

(…) Have you never heard a way to find the sun (…)
Have you seen the land living by the breeze
Can you understand a light among the trees (…)
Show me what you have to show
Tell us all today If you know the way to blue? (…)

traduzione:

(…) Non hai mai sentito parlare di un modo per trovare il sole? (…)

Hai visto la terra che vive (sotto) la brezza?
Sei in grado di comprendere la luce (che filtra) tra gli alberi? (…) Dillo a tutti noi, oggi se tu conosci la strada verso l’azzurro (…)

                    (Nick Drake da Way to Blue – dall’album Five Leaves Left, 1969)

Entrambi cominciarono a scrivere testi  da giovanissimi, lei a diciassette anni, lui (influenzato dai simbolisti francesi) a diciannove (molto tempo prima aveva cominciato a suonare da autodidatta la chitarra, e divenne infatti anche un ottimo chitarrista) ma, come si diceva all’inizio,  la vera essenza e il valore di ciò che essi scrissero vennero realmente colti solo dopo la loro morte (molti anni dopo per Antonia, quasi subito invece per Nick).

Di Antonia Pozzi infatti il padre fece pubblicare, postumo, un unico libro, Parole, su cui però aveva operato una censura (e di cui aveva addirittura riscritto alcune parti) perché l’originale  non era ritenuto consono alla memoria che egli voleva costruire per la figlia. È stato un equivoco durato per molti decenni e che ha fatto sì che la poetessa non abbia avuto la giusta collocazione nella letteratura italiana. Oggi è solo grazie al lavoro preciso e puntuale di ricostruzione filologica da parte di Onorina Dino (una suora dell’ordine del Preziosissimo Sangue di Monza, che si laureò con una tesi sulla scrittrice, e che venne in contatto con gli scritti originali custoditi dalla famiglia) che possiamo leggere finalmente le poesie originali (con l’epistolario e le pagine di diario) di Antonia, nell’edizione curata appunto da Onorina Dino e da Graziella Bernabò, intitolata Poesia che mi guardi (2010), e che contiene anche il film-documentario “Poesia che mi guardi” di Marina Spada.

Meno tempo è  stato invece necessario per “riscoprire” Nick Drake. Nel 1969 pubblicò il suo primo disco “Five leaves left”  che passò del tutto inosservato al grande pubblico, vendendo solo poche migliaia di copie (anche a causa delle difficoltà del musicista nell’esibirsi in concerti e nel rilasciare interviste). L’anno successivo uscì “Bryter Later“: il suo talento venne in parte riconosciuto dalla  stampa, ma non dal pubblico. L’ultimo disco, “Pink Moon“, pubblicato nel 1972, è considerato  il grande testamento musicale di Drake, ma anche questo non venne notato più di tanto. Nick  decise quindi di abbandonare il mondo della musica e tornò nella casa dei genitori dove di lì a poco sarebbe morto. Poi, poco tempo dopo la sua morte (cito da Le provenienze dell’amore – Vita morte e postmortem di Nick Drake misconosciuto cantautore inglese, molto sexy, di Stefano Pistolini, Fazi Editore, 1998 ): “Nick assunse i contorni di una magica figura romantica, inimitabile, esotica. Presto le vendite dei suoi dischi conobbero un’impennata […] Col passare degli anni, il nome di Drake venne evocato da ogni genere di musicisti, tutti pronti a citarne la determinante influenza artistica. Nick oggi impersona l’archetipo della trasposizione estrema della sensibilità in canzone. […](Adesso) quasi nessuno sa come, in vita, la sua musica venne violentemente ignorata e come i valori innovativi del suo discorso musicale, già presenti al tempo del suo debutto artistico, restarono del tutto lettera morta. Il martirio artistico di Nick è un caso archiviato di cecità collettiva”.

E infatti oggi, perfino il mondo del cinema e della pubblicità attinge al repertorio musicale di Drake (in Italia è stato di recente utilizzato un passaggio di Northern Sky in uno spot di Poste Italiane, ma già nel 2000 la canzone Pink Moon era stata usata dalla Volkswagen come sottofondo musicale nello spot del nuovo Maggiolino) e c’è da chiedersi cosa ne penserebbe lui (che rifuggiva perfino le interviste) di questo fatto.

In conclusione non posso che invitare alla lettura della poesia di Antonia Pozzi riportata sotto e all’ascolto di Northern Sky (dall’album Brayter Layter, qui il link https://www.youtube.com/watch?v=S3jCFeCtSjk) di Nick Drake: due prove che rendono evidente più di tante parole la struggente bellezza della loro creazione artistica.

Lieve offerta

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia –

Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.