Io sono nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana,
che gracida il tuo nome – tutto giugno
ad un pantano in estasi di lei!
Questa è una poesia scritta attorno al 1860, ma se ci dicessero che è stata scritta ieri potremmo crederci tranquillamente (non conoscendola). Perché il suo linguaggio è assolutamente moderno e la riflessione a cui dà vita è senza tempo, anzi, a ben vedere è perfetta per i nostri giorni in cui tutti sembriamo così assetati di celebrità (anche se le nostre “rane” più che gracidare twittano, condividono, postano…). È una poesia sull’obbligo del dover essere per forza qualcuno, e tutto sommato proprio per questo definiti e limitati; in effetti essere un nessuno ha in sé una maggiore libertà: se non si è nessuno si è liberi dal peso di rimanere sempre quel qualcuno… forse. In ogni caso quelle domande dirette a chi legge sono decisamente coinvolgenti e non scivolano via dai pensieri con immediata facilità.
L’autrice di questa poesia è Emily Dickinson (10 dicembre 1830-15 maggio 1886), che viene considerata una delle più grandi voci poetiche di ogni tempo e che dall’età di 31 anni scelse di vivere in un isolamento quasi assoluto (in una stanza della sua casa di Amherst, nel Massachussetts, dove nacque), se si escludono i rapporti familiari e la corrispondenza epistolare con alcuni amici, col fratello e con ipotetici e misteriosi innamorati. Le ragioni di questo ritiro solitario non si conoscono con esattezza: alcuni studiosi hanno ipotizzato che la scelta sia stata provocata dal dispiacere di un amore contrastato, ma più probabilmente Dickinson decise di isolarsi da una società a cui sentiva di non appartenere e dove al massimo preferiva essere un nessuno, appunto.
Con un atto quasi rivoluzionario scelse quindi di evitare del tutto la normale vita sociale, rinunciando anche a una eventuale notorietà, per dedicarsi con la massima libertà a quello che avvertiva come una missione, un dono: «(…) il dono di “sentire” la Natura, la certezza di essere depositaria di un messaggio universale ed eterno da esprimere attraverso la poesia (…)» (cfr. Silvio Raffo, Io sono Nessuno – Vita e poesia di Emily Dickinson).
È questa la mia Lettera al Mondo –
che non scrisse mai a me:
sono semplici cose, che Natura
mi disse – con toccante Maestà.Il Suo Messaggio affido
a mani che non vedo –
Dolci Concittadini – per Suo amore –
si giudichi di me teneramente
Della straordinaria dote che ci ha lasciato, questa sua “lettera al mondo“, che conta 1775 poesie (o 1789, secondo una seconda edizione critica) e un migliaio di lettere, solo sette brani poetici furono pubblicati mentre lei era in vita, e senza il suo consenso. La poetessa quindi «preferì affidare il suo messaggio alle mani invisibili dei lettori del futuro, ossia affrontare i rischi di una ininterrotta, solitaria sperimentazione poetica, di una fama differita e dubbia, alle mutazioni, certe, che la sua parola pubblicata avrebbe subito, come le dimostrarono le poche poesie stampate in vita, anonime, corrette proprio nelle anomalie in cui lei si riconosceva: una lineetta sostituita da una virgola (…)» (cfr. l’introduzione di Marisa Bulgheroni al volume Tutte le poesie – Mondadori).Nel 1862, anno che segna l’inizio della sua volontaria reclusione, cominciò anche la corrispondenza epistolare (che poi durerà tutta la vita) con il critico letterario Thomas W. Higginson: Dickinson, benché ormai abbastanza sicura della sua poesia, aveva comunque bisogno del giudizio di qualcuno competente, per cui inviò al critico dell’ “Atlantic Monthly” alcune sue liriche chiedendogli di dirle se secondo lui fossero “vive”. Higginson in realtà giudicò le poesie un po’ antiquate a causa delle rime a cui lei dichiarava di non poter fare a meno, e forse anche questo giudizio non del tutto positivo la persuase a rinunciare a qualsiasi idea di pubblicazione.
Sarebbe quindi rimasta inedita e sconosciuta se la sorella Lavinia non avesse scoperto dopo la morte di Emily un cofanetto contenente tutti i suoi testi poetici. Ne nacque una prima scelta di duecento poesie, ordinate e titolate a seconda degli argomenti e divise in quattro sezioni: Life, Love, Nature, Time and Eternity. Il successo da parte della critica non fu immediato, mentre il pubblico capì subito la forza di quei versi che sembravano semplici all’apparenza, ma che avevano una profondità e una intensità non comuni. Seguirono numerose ristampe, ma solo nel secolo successivo il mito di Emily Dickinson cominciò a diffondersi ovunque (in Italia la prima vera raccolta, Poesie, fu pubblicata nel 1956 e poi nel 1959, da Mondadori, in due volumi la cui traduzione si deve a Guido Errante; in seguito anche qui da noi la sua fama andò aumentando sempre di più).
Attraverso i versi che indagano soprattutto l’amore, la natura, la fugacità della vita con la certezza della morte e della fragilità delle cose presenti (questi ultimi temi vissuti attraverso una religiosità profonda ma problematica), la poetessa cattura il lettore in un mondo fatto sia delle piccolissime cose della vita quotidiana, sia degli eventi esistenziali dell’animo umano. Concretezza (che si manifesta anche con l’uso di un lessico molto vario, che spazia dalla terminologia scientifica e botanica a quella giuridica, dalla culinaria ai riferimenti biblici) e astrazione si intrecciano quindi in modo continuo, dando così alla semplicità apparente delle frasi poetiche una profondità talmente complessa ed evocativa da risultare talvolta quasi ermetica.
La brevità dei componimenti e la loro concisione espressiva, la particolarità della punteggiatura (quasi assente e con il caratteristico trattino al posto delle virgole come a voler spezzare il respiro dei versi), l’uso delle maiuscole per sottolineare alcune parole che lei sentiva di dover enfatizzare, l’utilizzo di rime anche imperfette (oltre all’uso di rime esatte), di assonanze e consonanze che non erano mai entrate nell’uso generale prima di allora, rendono ancor più interessante la sua poesia che brilla per libertà, originalità di espressione e un’incredibile immaginazione.
Emily Dickinson non rinunciò mai a essere sé stessa, andò contro le convenzioni, i formalismi, e tutto ciò che soffocava la forza del libero pensiero: visse sempre di libera poesia. Ecco perché, anche se in vita si nascose alla società e alla fama (rifugiandosi nella solitudine del suo nessuno), la sua preziosissima lettera al mondo rimarrà per sempre viva e presente nel tempo, oltre ogni catalogazione, schema o definizione.
Irene Marchi (Articolo originale già apparso in https://caffebook.it/2016/09/29/emily-dickinson-vivere-di-libera-poesia/)
Fonti:
Emily Dickinson – Tutte le poesie, a cura di Marisa Bulgheroni, Mondadori, 1997
Emily Dickinson – Il tramonto in una tazza, a cura di Bruna Dell’Agnese, Baldini Castoldi Editore, 2005
Alessandra Cenni – Cercando Emily Dickinson, Archinto Edizioni, 1998
Silvio Raffo – Io sono Nessuno – Vita e poesia di Emily Dickinson, Le Lettere Edizioni, 2011
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