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15 marzo 2022

La “civiltà” terrestre


Che cosa diremo?

(… ma soprattutto, che cosa diranno quelli dopo di noi?)

 

Notizia

Della civiltà terrestre che diremo?

Che era un sistema di sfere colorate, di vetro affumicato,
dove si avvolgeva e svolgeva il filo di liquidi luminescenti.

O un agglomerato di palazzi raggiformi
svettanti da una cupola coi portali inchiavardati
dietro cui camminava un orrore senza volto.

E che ogni giorno si gettavano i dadi, e a chi capitava un numero basso
veniva condotto al sacrificio: vecchi, bambini, ragazzi e ragazze.

O forse diremo così: che abitavamo in un vello d’oro,
in una rete iridescente, nel bozzolo di una nuvoletta
appeso al ramo d’un albero galattico.
E questa nostra rete era intessuta di segni:
geroglifici per l’occhio e l’orecchio, anelli d’amore.
E risuonava al suo interno un suono, che ci scolpiva il tempo,
il tremolio, il garrito, il cinguettio della nostra favella.

E con che cosa potevamo tessere il confine
fra il dentro e il fuori, la luce e l’abisso,
se non con noi stessi, il nostro caldo respiro,
il rossetto, lo chiffon e la mussola,
col battito, che quando tace muore il mondo?

O forse della civiltà terrestre non diremo nulla.
Perché cosa fosse non lo sa realmente nessuno.

                  Berkeley, 1973

Czesław Miłosz (1911, Lituania – 2004, Cracovia), da Da dove sorge e dove tramonta il sole, in Poesie, a cura di Pietro Marchesani, Adelphi, 2013

 


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