Non dire per cosa vieni. Lasciami
indovinare dalla polvere dei tuoi capelli
che vento ti ha mandato. È lontana la
tua casa? Ti do la mia: leggo neituoi occhi la stanchezza del giorno che ti
ha vinto; e, sul tuo volto, le ombre
mi raccontano il resto del viaggio. Dai,vieni a dar riposo ai tormenti del cammino
nelle curve del mio corpo – è una
meta senza dolore e senza memoria. Haisete? Avanza dal pomeriggio solo una
fetta d’arancia – mordila nella mia
bocca senza chiedere. No, non dirmi
chi sei né per che cosa vieni. Decido io.Maria do Rosário Pedreira (Lisbona, 1959), da Nessun nome dopo, 2004, traduzione di Mirella Abriani
°ascoltando Cesaria Evora – Sodade https://www.youtube.com/watch?v=ERYY8GJ-i0I
14 dicembre 2019
Indeterminato
22 agosto 2019
La memoria
Paul Gauguin, Natura morta con arance, 1881 |
Non sono mai riuscita a scrivere in un diario personale per più di quindici giorni. Ogni volta, dopo poco mi stancavo e lasciavo che la memoria delle cose vissute trovasse, da sola, il suo posto tra i pensieri (ora però ritrovare quel posto non è sempre facile!). Eppure rileggere un vecchio diario è sempre emozionante. Proprio come il ricordo descritto nella poesia qui sotto:
Se è successo, è successo una volta. Adesso tutto
è memoria – lui tagliava un’arancia: la buccia
intatta, poi il coltello, lo spicchio gelato
sollevato alla mia bocca, la sua bocca, la fine
membrana tra di noi, l’arancia squisita,
lingua, arancia, la mia nudità e la sua,
il modo in cui mi ha spinto contro il frigo –
Ora sento ancora le sue mani, il bacio
che non durò, ma che mandò neuroni gemelli
a balenare folli sulla corteccia. L’amore
è spietato, il modo in cui penetra
e continua ad emettere luce. Accanto alla stufa
mangiammo un’arancia. E c’erano fiori viola
sul tavolo. Era solo questione di ore.*
What happened, happened once. So now it’s best
in memory—an orange he sliced: the skin
unbroken, then the knife, the chilled wedge
lifted to my mouth, his mouth, the thin
membrane between us, the exquisite orange,
tongue, orange, my nakedness and his,
the way he pushed me up against the fridge—
Now I get to feel his hands again, the kiss
that didn’t last, but sent some neural twin
flashing wildly through the cortex. Love’s
merciless, the way it travels in
and keeps emitting light. Beside the stove
we ate an orange. And there were purple flowers
on the table. And we still had hours.Kim Addonizio (1954, Stati Uniti), da What Is This Thing Called Love: Poems
*ascoltando Eric Clapton – Old Love https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=O_j9KEjrY4o
Chi mente?
Capita che a volte non si capisca chi manipoli di più la realtà: la memoria che parla a noi o noi che vogliamo credere a lei? *** ...
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Che fatica doversi sempre definire, dover sempre dimostrare qualcosa, mostrarsi forti, inattaccabili, razionali, ragionevoli, saldi, co...
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Risorse: quelle che ti ricordi di avere quando ripensi a quello che hai già superato. Per favore, ricordati delle tue risorse. 15/09/2024...
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Claude Monet, Tempesta a Belle-Île, 1886 Fragile non vuol dire debole. ( Di fragilità si parla anche qui ) Ma non debole d...