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31 ottobre 2020

Vale la pena di…

 

“(…) L’unico sogno che vale la pena di vivere è vivere finché si è vivi
e morire solo quando si è morti (…)”

***

 

Essere pienamente vivi nel nostro mondo così com’è.
Mettersi vicino a coloro per i quali questo mondo è diventato intollerabile e ascoltarli.
L’unico sogno che vale la pena di vivere è vivere finché si è vivi
e morire solo quando si è morti.
Cosa significa esattamente?
Amare. Essere amati.
Non dimenticare mai la propria insignificanza.
Non abituarsi mai alla violenza indicibile
e alla volgare disparità della vita che ci circonda.
Cercare la gioia nei luoghi più tristi,
inseguire la bellezza là dove si nasconde.
Non semplificare mai quello che è complicato
e non complicare quello che è semplice.
Rispettare la forza, mai il potere.
Sopratutto osservare. Sforzarsi di capire.
Non distogliere mai lo sguardo.
E mai, mai dimenticare.

John Berger (1926-2017), dall’introduzione a cura di Maria Nadotti di Modi di vedere, (traduzione di M. Nadotti), 2015, Bollati Boringhier

 

°ascoltando Fairport Convention – Come All Ye - https://www.youtube.com/watch?v=Id-uy–H8tQ&feature=emb_title


11 settembre 2018

11 settembre

 


Sempre per non dimenticare

***

Fotografia dell’11 settembre

Sono saltati giù dai piani in fiamme –
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.

 
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.

 
Ognuno è  ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.

 
C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.

 
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.

 
Solo due cose posso fare per loro –
descrivere quel volo
senza aggiungere l’ultima frase.

 
Wislawa Szymborska, da La gioia di scrivere – Tutte le poesie, Adelphi,  traduzione di Pietro Marchesani


27 gennaio 2017

27 Gennaio – Giorno della Memoria

 




Oh, notte dei bimbi piangenti!
Notte dei bimbi chiamati alla morte!
Non può più entrare il sonno.
Orribili guardiane
hanno sostituito le madri,
nei muscoli delle mani tendono la falsa morte,
la spargono sui muri e sulle travi,
tutto fermenta nei nidi dell’orrore.
Paura allatta i bimbi e non la madre.
Appena ieri la mamma chiamava il sonno
su loro, come una bianca luna,
in un braccio era la bambola —
con le guance lavate dai baci,
nell’altro una bestia di pezza
fatta viva dall’amore.
Soffia ora il vento della morte,
solleva le camicie sui capelli
che nessuno più pettinerà.

 ***

Coro dei superstiti

Noi superstiti
dalle cui ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti,
sui cui tendini ha già passato il suo archetto –
I nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell’aria azzurra,
pendono ancora i lacci attorti per i nostri colli –
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti,
ancora divorati dai vermi dell’angoscia –
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello,
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
e farci schiumar via –
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi, ormai senza respiro,
la nostra anima è volata a Lui alla mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell’arca dell’istante –
Noi superstiti,
stringiamo la vostra mano,
riconosciamo i vostri occhi –
ma solo l’addio ci tiene ancora uniti,
l’addio nella polvere
ci tiene uniti a voi –

Nelly Sachs*, da Nelle dimore della morte, in Al di là della polvere, Einaudi, traduzione di Ida Porena.  

*Nelly Sachs è nata  a Berlino nel 1891 ed è morta a Stoccolma nel 1970. I suoi libri di poesie sono tra le più drammatiche testimonianze dell’Olocausto. Nel 1940 riuscì a fuggire in Svezia e questa esperienza segnò un netto discrimine anche poetico, oltre che di vita: ripudiò infatti tutto quello  che aveva scritto prima dell’espatrio, quando viveva in Germania, come se la sua vita  e la sua capacità di “vedere” e scrivere fossero cominciate in seguito alla conoscenza della realtà del terribile genocidio. È stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1966 con questa motivazione: “Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante”. Pur non avendo vissuto in prima persona l’orrore dei lager nazisti ha saputo interpretare tutta la disperazione e la tragedia di quegli eventi in maniera forte e profondissima. “L’opera poetica di Nelly Sachs è grande e misteriosa […]. Di questo tipo è la poesia di Nelly Sachs: dura ma trasparente (…)” (dall’introduzione di Hans Magnus Enzensberger alla raccolta poetica Al di là della polvere, Einaudi, 1961).