Il mio nome
Una sera che il prato era verde oro e gli alberi,
marmo venato alla luna, si ergevano come nuovi mausolei
di strida e brusii di insetti, io stavo sdraiato sull’erba,
ad ascoltare le immense distanze aprirsi su di me, e mi chiedevo
cosa sarei diventato e dove mi sarei trovato,
e quanto a malapena esistessi, per un attimo sentii
che il cielo vasto e affollato di stelle era mio, e udii
il mio nome come per la prima volta, lo udii
come si sente il vento o la pioggia, ma flebile e distante
come se appartenesse non a me ma al silenzio
dal quale era venuto e al quale sarebbe tornato.
Mark Strand (1934- 2014), da L’uomo che cammina a un passo avanti al buio – Poesie 1964-2006, Mondadori, 2011, traduzione di Damiano Abeni
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Il tuo nome
Questo scompiglio cerca un altro posto
dove mettere la tua voce la sospensione dei giorni
la casa che fu tua
tutto questo timore
adesso la forma sfuggente di una nuvola
va sagomando
il tuo nome o il riflesso del tuo nome
e lo dico ad alta voce
e me lo dico
intimamente quasi balbettando
e devo ripeterlo
ancora quando il vento lo disfà
non potrò con la sua assenza
con il vuoto
che hanno lasciato in me
le sue due sillabe fugaci
nessuno risponderà se chiamo
ci sarà solo un vuoto
come erba che spunta dovunque
magnetico mutismo
asse immobile
che mi lascia orfano
tagliate per sempre le radici
Ángel Campos Pámpano (1957-2008), da La semilla en la nieve, 2004
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Versi per Blok, 1
Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.
Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.
Il tuo nome − ah, non si può! −
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo.
Marina Cvetaeva (1892-1941) da Marina Ivanovna Cvetaeva - Poesie, Feltrinelli, Milano, 1979, traduzione di Pietro A. Zveteremich
(Marina Cvetaeva non conobbe mai Aleksandr Aleksandrovič Blok – il
maggiore esponente del simbolismo russo – ma ebbe per lui, come poeta,
un’ammirazione profonda tanto da dedicargli un’intera raccolta poetica).