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24 maggio 2022

Se cambiassimo nome

 


Vuoi bene al tuo nome o vorresti cambiarlo?

***

Il mio nome

Puoi tenerlo tu
il mio nome,
non lo voglio più:
ogni lettera ride

di me
delle mie parole
dei miei giorni.

Raccoglierò dal fiume
una manciata di sassi
e ricostruirò
 – impermeabile a tutto –
quel gioco di vocali e consonanti
che mi firmerà.

Irene Marchi, da L’uso delle parole e delle nuvole, Cicorivolta Editore, 2020

°ascoltando Hammock – Will You Ever Love Yourself? https://www.youtube.com/watch?v=iuyMFOfXVtw&t=3s


16 febbraio 2019

Cambiare i nomi

 

Che strana idea questa del poeta…
tu a che cosa cambieresti il nome?
(Io cambierei nome alla vita: la chiamerei rosa)

***

Cambi di nome

Agli amanti delle belle lettere
Faccio giungere i miei migliori auguri
Cambierò nome ad alcune cose.

La mia posizione è questa:
Il poeta non adempie alla sua parola
Se non cambia i nomi delle cose.

Perché il sole
Deve continuare a chiamarsi sole?
Chiedo che si chiami Gatto
Quello con gli stivali delle quaranta leghe!

Le mie scarpe sembrano bare?
Sappiano che d’ora in poi
Le scarpe si chiamano bare.
Si comunichi, si annoti e si pubblichi
Che le scarpe hanno cambiato nome:
Da adesso si chiamano bare.

Bene, la notte è lunga.
Ogni poeta che stimi se stesso
Deve avere il suo dizionario.
E prima che mi dimentichi
Bisogna cambiare nome al proprio dio:
Che ognuno lo chiami come vuole:
È un problema personale.

 *

Cambios de nombre

A los amantes de las bellas letras
Hago llegar mis mejores deseos
Voy a cambiar de nombre a algunas cosas.

Mi posición es ésta:
El poeta no cumple su palabra
Si no cambia los nombres de las cosas.

¿Con qué razón el sol
Ha de seguir llamándose sol?
¡Pido que se llame Micifuz
El de las botas de cuarenta leguas!

¿Mis zapatos parecen ataúdes?
Sepan que desde hoy en adelante
Los zapatos se llaman ataúdes.
Comuníquese, anótese y publíquese
Que los zapatos han cambiado de nombre:
Desde ahora se llaman ataúdes.

Bueno, la noche es larga
Todo poeta que se estime a sí mismo
Debe tener su propio diccionario
Y antes que se me olvide
Al propio dios hay que cambiarle nombre
Que cada cual lo llame como quiera:
Ese es un problema personal.

Nicanor Parra (1914, San Fabián de Alico, Cile – 2018), da Versos de salón, Santiago, Nascimento, 1962

°ascoltando Jim Croce – I Got a Name https://www.youtube.com/watch?v=YcqauC49Xmc


16 novembre 2018

Scrivere il nome

 


Prendi un foglio.
Scrivici il tuo nome, il tuo cognome.
E poi scrivi quello vorresti fare davvero, oggi, con il tuo nome e cognome. Dove andresti?
Forse a vedere il mare, oggi che è metà novembre e il mare non se l’aspetta, di vederti.
O forse vorresti dormire tutto il giorno. E aspettare che passi domani e poi ancora domani.
Che parole vorresti dire, veramente, con il tuo nome e cognome? Continueresti a dire – tutto bene, grazie – o lanceresti un urlo? (Uno soltanto. E poi riprenderesti la faccia di un* che ha il tuo nome e cognome).
Prendi un foglio.
Scrivici il tuo nome, il tuo cognome…

***

Oggi. Scrivere il nome

Comincia con lo scrivere il tuo nome,
perché ne resti traccia, qualche segno di grafite
risonante nel bianco. Con poche lettere
sigla decenni di storia, il silenzio
della pagina pronto a spalancarsi,
ad accogliere e disperdere.
Spicca nel bianco e non è più bianco
ma voce la matita che attraversa il foglio,
e goccia a goccia qualcosa cede e ti si allarga dentro:
Pierluigi, e dopo Cappello, in un sussurro un nome;
e dentro un nome, l’uomo che non concede a sé
i suoi stessi lineamenti, protetti da un’ottusità misericordiosa.
Leggero, come la cenere. Fresco, come l’aria fra le dita.
Scomparso, come una nuvola.

Pierluigi Cappello, da Stato di quiete – Poesie 2010-2016

*ascoltando Jim Croce – I Got a Name https://www.youtube.com/watch?v=YcqauC49Xmc


16 marzo 2018

L’importanza di chiamarsi (per nome)

 

I nomi propri non sono semplici parole, sono molto di più.
Pesano tantissimo (sopra ai pensieri), anche se sono leggeri.

***

Il mio nome

Una sera che il prato era verde oro e gli alberi,
marmo venato alla luna, si ergevano come nuovi mausolei
di strida e brusii di insetti, io stavo sdraiato sull’erba,
ad ascoltare le immense distanze aprirsi su di me, e mi chiedevo
cosa sarei diventato e dove mi sarei trovato,
e quanto a malapena esistessi, per un attimo sentii
che il cielo vasto e affollato di stelle era mio, e udii
il mio nome come per la prima volta, lo udii
come si sente il vento o la pioggia, ma flebile e distante
come se appartenesse non a me ma al silenzio
dal quale era venuto e al quale sarebbe tornato.

Mark Strand (1934- 2014), da L’uomo che cammina a un passo avanti al buio – Poesie 1964-2006, Mondadori, 2011, traduzione di Damiano Abeni

 *

Il tuo nome

Questo scompiglio cerca un altro posto
dove mettere la tua voce la sospensione dei giorni
la casa che fu tua
tutto questo timore

adesso la forma sfuggente di una nuvola
va sagomando
il tuo nome o il riflesso del tuo nome

e lo dico ad alta voce
e me lo dico
intimamente quasi balbettando
e devo ripeterlo
ancora quando il vento lo disfà

non potrò con la sua assenza
con il vuoto
che hanno lasciato in me
le sue due sillabe fugaci

nessuno risponderà se chiamo

ci sarà solo un vuoto
come erba che spunta dovunque
magnetico mutismo
asse immobile
che mi lascia orfano
tagliate per sempre le radici

Ángel Campos Pámpano (1957-2008), da La semilla en la nieve, 2004

 *

Versi per Blok, 1

Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.

Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.

Il tuo nome − ah, non si può! −
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo.

Marina Cvetaeva (1892-1941) da Marina Ivanovna Cvetaeva - Poesie, Feltrinelli, Milano, 1979, traduzione di Pietro A. Zveteremich
(Marina Cvetaeva non conobbe mai Aleksandr Aleksandrovič Blok – il maggiore esponente del simbolismo russo –  ma ebbe per lui, come poeta, un’ammirazione profonda tanto da dedicargli un’intera raccolta poetica).

°ascoltando The Doors – Hello, I Love You  https://www.youtube.com/watch?hl=ja&gl=JP&v=hzM71scYw0M


Una pianta ama sé stessa

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