26 maggio 2016

Che scrivi a fare?

 


 

Riporto due poesie (molto belle, secondo me) che riguardano la scrittura e i motivi che spingono a scrivere.

Già: i motivi che spingono a scrivere qualcosa che non sia un diario personale e che quindi sottintendono anche la speranza di essere letti. La speranza di riuscire a comunicare qualcosa.

Io, per esempio (che solamente “provo” a scrivere), perché lo faccio? Confesso che me lo domando spesso (chiedo scusa per questa parentesi autobiografica) – Ma che caspita mi è saltato in mente? Perché dovrei scrivere qualcosa anch'io, pincopallino sconosciuto e pure tendente all’asociale, in un mondo dove già scrivono tutti? Ma soprattutto, perché qualcuno dovrebbe  leggere quello che scrivo? Chi mi credo di essere?

Personalmente non ho ancora trovato una risposta (del resto le risposte sono  tesori  rarissimi e sempre ben nascosti). So solo che non scrivo perché mi credo qualcosa o qualcuno: semplicemente rispondo a un bisogno che è nato all’improvviso e che ora mi tiene compagnia. Quindi, nella fattispecie, forse dovrei solo dire: “Scusate se… scrivo!”.

 

Se ho scritto è per pensiero

(a M. M.)

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell’ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l’attesa marina – senza grido – infinita.
Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
– da brughiera –
sulla terra del viale.
Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

Antonella Anedda, da Notti di pace occidentale, Donzelli, Roma, 1999

 ***

E così vorresti fare lo scrittore

Se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto,
non farlo.
a meno che non ti venga dritto dal
cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla
macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo.
se lo fai solo per soldi o per
fama,
non farlo.
se lo fai perché vuoi
delle donne nel letto,
non farlo.
se devi startene lì a
scrivere e riscrivere,
non farlo.
se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di scrivere come qualcun
altro,
lascia perdere.

se devi aspettare che ti esca come un
ruggito,
allora aspetta pazientemente.
se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
se prima devi leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.

non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di
persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e
pretenzioso, non farti consumare dall’auto-
compiacimento.
le biblioteche del mondo hanno
sbadigliato
fino ad addormentarsi
per tipi come te.
non aggiungerti a loro.
non farlo.
a meno che non ti esca
dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
a meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.

quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da
sé e continuerà
finché tu morirai o morirà in
te.

non c’è altro modo.

e non c’è mai stato.

Charles Bukowski, da E così vorresti fare lo scrittore, traduzione di S. Viciani, Guanda, 2007




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