19 febbraio 2016

Vorrei essere un Barbapapà (ma forse lo siamo tutti)

 



Oggi un insieme di righe decisamente diverso dal solito… quasi ai limiti dell’idiozia, potrebbe pensare qualcuno. E sia.

Chi non conosce i Barbapapà? Sono i simpatici personaggi del fumetto pubblicato nel 1970, nato dalla fantasia di Annette Tison e Talus Taylor (marito e moglie). Il loro  fumetto è considerato una delle prime opere portatrici di un messaggio ecologista (il rispetto per la natura, i pericoli dell’inquinamento e la coabitazione tra specie) e di altri messaggi molto positivi (l’invito all’ascolto e all’accoglienza di chi è in difficoltà e la certezza che un recupero delle situazioni più difficili sia sempre possibile, con l’approccio più adatto).
E poi c’era quella cosa bellissima: il “Barbatrucco”. Serve un ponte? Ecco che un Barbapapà sa trasformarsi in ponte. Serve un ombrello? C’è il modo di diventare ombrello e così via. La “strategia del Barbapapà” è quindi quella che ci fa (provare a) trovare in noi stessi i mezzi per risolvere un problema… certo, non proprio tutti, nei limiti dell’umano, diciamo, senza dover cercare troppo lontano.

Insomma, il senso è questo: non diamoci per vinti che spesso la soluzione è dentro di noi, siamo tutti dei Barbapapà in potenza, ma spesso non ci crediamo o ci abituiamo  a non crederci. È sempre molto difficile, ma talvolta dovremmo cambiare prospettiva. Vai col “barbatrucco”!

E a proposito di cambiamenti, qui sotto una poesia che certamente avrai letto da qualche altra parte.Viene spesso attribuita  a Pablo Neruda ma in realtà è di Martha Medeiros, giornalista e scrittrice brasiliana, nata nel 1961: parla proprio della necessità di cambiare per non… morire lentamente.  È tratta da un testo che ha per titolo A Morte Devagar (che letteralmente vuol dire Una morte lenta) ed è stato pubblicato nel 2000 sulla rivista “Zero Hora".

Ode alla vita

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Martha Medeiros, (tratta dal web)


 

*ascoltando Johnny Thunder, I’m Alive https://www.youtube.com/watch?v=SJ_wzLVhJSs.



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