Avvertenza ai naturalisti
Chi apre
questo libro
rischia grosso:
dai piedi potrebbero
spuntare radici, dalle mani
fronde di carpino o corbezzolo.
Potrebbe incontrare se stesso, in un
sogno, o svegliarsi con l’obbligo di discernere
fra opportunità e verità, a proprio svantaggio.
La natura non ha nulla di buono,
essa opera e distribuisce, si
rinnova nel sangue dei
vinti. Siamo nervi e
sentimenti che un
soffio leggero può
confondere, o l’ombra di
una nube nascondere. La natura
umana non è la roccia, è il fruscio
del volo d’un cardellino
Tiziano Fratus, da Poesie creaturali – Un bosco in versi, Libreria della Natura (2019)
*
Di boschi, foreste e altro
ma noi dovevamo costruire una foresta
dove metterci tutte le cose
che in un altro angolo del pianeta ci starebbero strette
alberi con le foglie a sfidare il sole come le parole dei poeti
e fiumi biblici di acque fonde come i tuoi occhi
e uccelli leggiadri e violenti
come la vita che se ne va tra amori e dolori senza senso
ma noi dovevamo costruire una foresta
dove nessun grillo parlante
venisse a suggerirci con discrezione e violenza
strade autostrade e percorsi alternativi dove non ci fossero
preti gesuiti marxisti in odore di santità
laburisti esperti di filosofia e astronomia
uomini di est e di sud-est
dove nessuno, dico nessuno,
si permettesse di pensare
che a renderla vivibile una foresta
macdonald ci vogliano e atéliers case eleganti e ben pulite
letti con le lenzuola fresche di bucato e di scopate
scuole che ti insegnino a morire un libro dopo l’altro
e ospedali dove ti rubano anche la morte
ma noi dovevamo costruire una foresta
non un orticello dove coltivarci zucche patate e un po’ di pomodori
e stare seduti a guardare il tramonto e la vita che passa
come i fraticelli che aspettano l’eterno
e un dio che se c’è c’è, e son cazzi suoi
una foresta dove, amore, la morte non è la fine di tutto
Luther Blissett, eteronimo di Emilio Piccolo (Acerra, 1951-2012), da Beatrice – My heart is full of troubles, Dedalus, 1999
*
Gli alberi
Parlano poco gli alberi, si sa.
Passano tutta la vita meditando
e muovendo i loro rami.
Basta guardarli in autunno
quando si riuniscono nei parchi:
soltanto i più vecchi conversano,
quelli che donano le nuvole e gli uccelli,
ma la loro voce si perde tra le foglie
e assai poco percepiamo, quasi niente.
È difficile riempire un piccolo libro
coi pensieri degli alberi.
Tutto in essi è vago, frammentario.
Oggi, ad esempio, mentre ascoltavo il grido
di un tordo nero, di ritorno verso casa,
grido ultimo di chi non attende un’altra estate,
ho capito che nella sua voce parlava un albero,
uno dei tanti,
ma non so cosa fare di quel grido,
non so come trascriverlo.
Eugenio Montejo (Caracas, 1938-2008), da Algunas palabras, 1976 in La lenta luce del tropico-Antologia poetica, Le Lettere, 2006, traduzione di Luca Rosi