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18 agosto 2024

Alla deriva? (Fuori tema)

 


Foto di Tobias Kamischke, da https://www.instagram.com/tekkify/



Sei alla deriva? Prova a cercare un segno!

Un segno, sì. Un po’ come  fa Jeff, il protagonista del film “A Casa Con Jeff” (di Jay Duplass e Mark Duplass, con Susan Sarandon): Jeff è un trentenne che, utilizzando l’universo come sua guida, cerca dei segni per stabilire la propria strada e dare un senso alla propria vita.

Senza diventare dei fanatici della serendipità (termine coniato da Horace Walpole, con cui egli indicava quella “qualità per cui si fanno, per incidente o per sagacia, continue scoperte di cose che non si cercavano”) o della sincronicità (che fu evidenziata da Carl Gustav Jung come il  fenomeno per cui eventi mentali e fisici sono correlati tra loro, senza rapporto di causa ed effetto, in un breve lasso temporale quasi coincidenziale, per senso e significato),  si potrebbe andare alla ricerca di “segni” sperimentando il  Gioco della deriva di cui ci parla lo psicoterapeuta Paolo Maria Clemente nel libro La deriva – Istruzioni per perdersi:

“Lo sfruttamento non è l’unica possibilità di rapporto con l’ambiente. Esiste un modo alternativo di porsi nei suoi confronti che comporta il passaggio dalla logica del dominio a quella del rispetto. Il primo passo da compiere è considerare la zona circostante come la nostra interfaccia con l’universo. […] Nella vita infatti non abbiamo mai a che fare con l’universo intero, ma sempre e soltanto con quella piccola bolla di realtà che ci circonda; reciprocamente, l’universo si rapporta a noi usando il luogo dove ci troviamo. Chiamiamo “Zona” questa minuscola porzione di realtà che ci segue ovunque andiamo: è con essa – e soltanto con essa – che entriamo in rapporto, e lo facciamo costantemente, pur senza rendercene contro. […] Il senso di questa pratica […] risiede nel fatto  stesso che il mondo inanimato stia comunicando, perché ciò significa che intorno a noi c’è qualcosa di vivo con cui è possibile entrare in relazione. […] Scegli una via qualsiasi della tua città e guardati intorno. Ignora tutto ciò che è stato messo lì a bella posta per stupirti, come un monumento o un’installazione artistica; […] contano solo i piccoli eventi che si verificano proprio quando passi tu: una foglia che cade, un gatto che sbuca da una siepe, un rumore improvviso. Tra le cose che accadono intorno a te, scegli la prima che attira la tua attenzione e muoviti in quella direzione finché non giungi davanti a un bivio. Aspetta, non scegliere subito dove andare […] guarda l’ambiente circostante come se fossi un alieno. Prima o poi un evento accidentale ti farà capire quale strada imboccare […] alla fine la cosa più importante non sarà dove ti avrà condotto il caso, ma il fatto di aver instaurato una comunicazione con l’ambiente circostante (la Zona)”.

Paolo Maria Clemente ha  intitolato  il suo libro La deriva, in onore di Guy Debord, il primo che negli anni ’50 ne ipotizzò una qualche esistenza e che dava questi consigli proprio su come affrontare una deriva:

“Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l’alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari.”

Il Gioco della Deriva sembrerebbe quindi un modo rigenerante e avventuroso di esplorare, di “stimolare” il mondo e, soprattutto, di riceverne stimoli. E se arrivasse quel famoso segno… speriamo sia incoraggiante!

(…) Alla deriva
c’è invece il mare il mare aperto infinito
alla deriva
c’è finalmente la vita
filtrata digerita
c’è la leggerezza
del corpo vuoto.

Salvatore Toma, dalla poesia Alla deriva, in Canzoniere della morte, Einaudi 1999

°ascoltando Kronos Quartet – I See the Sign https://www.youtube.com/watch?v=N0n2NX_6WUE


1 febbraio 2022

Nella lista delle cose da fare: resistere e risalire

 


(Ancora una volta. Ancora, e ancora, se serve.)

 

Per quando stai toccando il fondo

Sei sopravvissuto a tutto quello che hai dovuto passare e sopravviverai anche a questo. Rimani qui per la persona che diventerai. Tu sei più di una giornata nera, una settimana nera, un mese, un anno, anche dieci anni neri. Sei un futuro di possibilità multiformi. Sei un altro te stesso, di un tempo a venire, che ripensa con gratitudine a questo te stesso che si era perso, ma non ha mollato. Rimani.

Matt Haig, da Parole di conforto, traduzione di Elisa Banfi, Edizioni e/o, 2021

°ascoltando Don’t Give Up (cover di Willie Nelson con Sinéad O’Connor) – https://www.youtube.com/watch?v=gO6fAJcN89k


22 ottobre 2021

“Amarcord” (fuori tema)


Qual è il sapore, o il profumo, che più di ogni altro ti rimanda piacevolmente indietro nel (tuo) tempo?

***

“(…) E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla (…)”

Marcel Proust (Parigi, 1871-1922), da Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto

 

° ascoltando Gino Paoli – Sapore di Sale (live) https://www.youtube.com/watch?v=jzpOTjXGG6A


10 aprile 2021

Quello che non facciamo (fuori tema)

 

Ci sono cose  che immaginiamo di fare ma che non facciamo mai, intenti che disattendiamo, progetti che rimarranno tali. Sono come le ombre: assolutamente “visibili” ma impalpabili.
Ma guai se non ci fossero (anche) queste cose che non facciamo.

***

Le cose che non facciamo

Mi piace che non facciamo le cose che non facciamo. Mi piacciono i nostri progetti al risveglio, quando il giorno sale sul nostro letto come un gatto di luce, e che non realizziamo perché ci alziamo tardi per esserceli immaginati tanto. Mi piace il solletico che trasmettono ai nostri muscoli gli esercizi che enumeriamo senza eseguirli, le palestre dove non andiamo mai, le abitudini sane che invochiamo come se, desiderandole, il loro splendore si riflettesse su di noi. Mi piacciono le guide di viaggio che sfogli con quell’attenzione che tanto ammiro in te, con i loro monumenti, strade e musei dove non mettiamo mai piede, incantati da un caffelatte. Mi piacciono i ristoranti che non frequentiamo, le luci delle loro candele, il sapore fantasticato dei loro piatti (…). Mi piacciono tutti i propositi, dichiarati o segreti, che disattendiamo insieme. È questo che preferisco della vita a due. La meraviglia aperta sull’altrove. Le cose che non facciamo.

Andrés Neuman, da Le cose che non facciamo, Sur, 2016, traduzione di Silvia Sichel

°ascoltando Nick Drake – One Of These Things First https://www.youtube.com/watch?v=TOv5NAhLbms


6 luglio 2020

Abbagliante (fuori tema)

 


Fuori tema perché tecnicamente il testo che segue non è una poesia, anche se spesso viene citato come tale (sono alcune delle righe del quaderno ritrovato da Cosette sotto una pietra del suo giardino). Ma il concetto espresso, così luminoso, “abbaglia” e porta romanticamente  verso la  poesia…

***

Ho incontrato per via un giovane poverissimo: era innamorato.
Il suo cappello era vecchio, l’abito logoro, con i buchi ai gomiti, l’acqua gli passava attraverso le scarpe, e gli astri attraverso l’anima.

Victor Hugo (Besanҫon, 1802-1885), da Les Misérables, libro V- parte IV: “Un cuore sotto una pietra”,  traduzione di Valentino Piccoli, BUR

*ascoltando Queen + Paul Rodgers – Time to Shine -  https://www.youtube.com/watch?v=en2t-pLLZ48


23 novembre 2019

C di Coerenza

 


 


Troppo divertente questa vignetta: la coerenza nell’essere una scocciatrice… un’ottima consolazione!

Ma una tenace coerenza è davvero una cosa (sempre) buona?

Walt Whitman in  Foglie d’erba scriveva:

«Mi contraddico? Certo che mi contraddico!
Sono vasto, contengo moltitudini».

La trovo una bella affermazione.

Perché al di là di un certo (necessario) livello di coerenza relativa ai valori di base (che poi è la stessa bella coerenza di cui si parla nella canzone che cito alla fine di questo post), il voler sempre e a tutti i costi essere coerenti e non contradditori rispetto a ciò che siamo stati o abbiamo detto, pensato o creduto in precedenza, è (forse) qualcosa di poco spontaneo: un’autoimposizione quasi innaturale rispetto ai cambiamenti costanti di una persona. Cambiare idea (non in continuazione, ovviamente!) a volte ci salva dalla fossilizzazione del pensiero. E ci rende decisamente umani.

E la coerenza nel mantenerci umani (nel senso buono del termine) non è poi così male.

(Ma… forse… aggiungo sempre un forse: sono coerente con la mia mancanza di certezze)


***

“L’altro timore che ci allontana dalla fiducia in noi stessi è la nostra coerenza:

ci trattiene il rispetto per le azioni fatte e le parole dette, dato che gli occhi altrui non hanno altri elementi per calcolare la nostra orbita se non le nostre passate azioni, e noi siamo riluttanti a deluderli.

Ma perché continuare a tenere la testa dietro le spalle?

Perché trascinarti dietro il cadavere della memoria, per paura di contraddire quel che hai detto e fatto in questo o quel luogo pubblico?

Supponiamo che ti contraddica; e con questo?

A me sembra buona norma di saggezza quella di non contare esclusivamente sulla sola memoria e di farne poco, anzi, anche in atti di pura memoria; e allora trascina in giudizio quel passato in un presente dai mille occhi, vivi in un giorno sempre nuovo!

[…] Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti […], una grande anima non ha niente a che fare con la coerenza”.

Ralf  Waldo Emerson, da Diventa chi Sei. La fiducia in se stessi, a cura di Stefano Paolucci, Donzelli Editore, 2005

*ascoltando Nomadi – La coerenza https://www.youtube.com/watch?v=TLEoRtkBL0Q


5 gennaio 2018

In bicicletta (fuori tema)


Ieri sono stata rimproverata. Ho attraversato sulle strisce pedonali di un mini attraversamento (quattro strisce  bianche  in tutto), dopo aver aspettato diligentemente e un po’ in disparte  che le macchine si fermassero e lasciassero passare me e altre tre persone in attesa. Ma io ero in bicicletta e NON sono scesa per attraversare! E una signora che aspettava dall’altra parte mi ha ripreso, con tanto di dito puntato, dicendo: “Non si attraversa sulla bici!” Ed è verissimo! Bisogna sempre smontare dalla bicicletta, perché altrimenti non  si è pedoni, e potremmo creare confusione e quindi diventiamo un pericolo, anche per noi stessi. Chiedo venia! (E, magari, anche un briciolo di elasticità!… Si scherza eh!). In ogni caso andrei in bicicletta ovunque, anche in banca, potendo. Ma…

***

 

Vietato introdurre biciclette

Nelle banche e nei negozi di tutto il mondo a nessuno importa un fico secco che qualcuno entri con un cavolo sotto il braccio o con un tucano o che dalla sua bocca si snodino come un nastro le canzoni che insegnò la mamma, oppure che conduca per mano uno scimpanzé in maglietta a righe. Ma non appena una persona entra con una bicicletta tutti si agitano, e il veicolo è espulso violentemente in strada mentre il suo proprietario deve subire gl’indignati rimproveri degli impiegati.

Per una bicicletta, ente docile e dal comportamento modesto, costituisce una umiliazione e una beffa la presenza dei cartelli che le sbarrano il passo ad ogni bella porta di cristallo della città. È noto che le biciclette hanno cercato con tutti i mezzi di ovviare a questa loro triste condizione sociale. Però in tutti i paesi assolutamente della terra è proibito introdurre biciclette. Alcuni aggiungono «e cani», precisazione che raddoppia nelle biciclette e nei cani il complesso d’inferiorità. Un gatto, una lepre, una tartaruga possono legalmente entrare da Bunge & Born o negli studi degli avvocati di corso San Martín senza suscitare altro che sorpresa, somma delizia fra le telefoniste ansiose o al massimo un ordine al portiere di sbattere fuori i suddetti animali. Può accadere anche questo, ma non è cosa umiliante, innanzi tutto perché rappresenta una probabilità tra molte altre, e poi perché scaturisce come effetto di una causa e non da una fredda macchinazione preordinata, orribilmente impressa su targhe di bronzo o di smalto, tavole dell’inesorabile legge che umilia la semplice spontaneità delle biciclette, creature innocenti.

Ad ogni modo, attenti a quel che fate, direttori! Anche le rose sono ingenue e dolci, ma forse sapete che in una guerra di due rose perirono principi ch’erano un nero fulmine, accecati da petali di sangue. Non vi accada che le biciclette si destino un giorno irte di spine, che le manopole del loro manubrio si rizzino disponendosi per l’attacco, che corazzate di furore assaltino a legioni i cristalli delle compagnie di assicurazione, e che il ferale giorno si chiuda con un tracollo in borsa, con un lutto di ventiquattro ore, e biglietti listati di nero con cui la famiglia commossa ringrazia.

Jiulio Cortázar, da Storie di Cronopios e di Famas, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini

°ascoltando Queen – Bicycle Race
https://www.youtube.com/watch?v=GugsCdLHm-Q


23 novembre 2017

Fuori tema: poesia e Venerdì Nero, per favore no!

 


In realtà non volevo parlarne, ma  oggi mi sono arrivate (altre) due e-mail  in cui si offrono in saldo  (per il tanto atteso Black Friday) libri di poesie e iscrizioni a concorsi di poesia.

Quindi ho cambiato idea e ora ne parlo solo un momento: perché almeno la poesia, per favore, preserviamola  dalle logiche di mercato e dalle strategie di marketing più eclatanti. Io non sono un’economista (per cui non ho sotto mano i grafici dell’amatissimo PIL) ma nemmeno un’asceta e mantengo un certo piacere nel poter comprare (ogni tanto) qualcosa che mi serve e mi piace, PERÒ, sono quindici giorni che veniamo bombardati attraverso ogni canale (pubblicità, e-mail, sms da negozi e ditte varie, radio, volantini, piccioni viaggiatori e forse anche segnali di fumo) da messaggi che inneggiano all’arrivo del Black Friday, nemmeno fosse il salvatore dell’umanità: BASTA!

Non ci bastavano gli annunci per i saldi prefestivi, i saldi dopo le feste, i saldi per rinnovo locale, i saldi per la festa di miofratellovaincampagna?  Dovevamo per forza avere l’ambizione di trasformarci in folle urlanti davanti alle vetrine di un negozio come succede in America?  Siamo sicuri che sarà questo continuo e martellante invito all’offerta imperdibile  a salvarci? Siamo sicuri che l’uomo si possa riassumere in un “compro dunque sono”?

Comunque, per chi volesse scioperare dal Black Friday, domani è anche il Buy Nothing Day (si è diffuso a partire dal 1992 proprio come reazione al Black Friday, ma con un intento di riflessione): una giornata in cui non comprare nulla (a parte generi di prima necessità) e soprattutto per riflettere sul consumo facile e veloce di ogni tipo che ci stiamo imponendo (e che porta preoccupanti conseguenze sui lavoratori delle zone più disagiate del mondo -e non  solo-  e sull’ambiente).  Allora, per domani… buona giornata libera!

°ascoltando The Limboos – I Don’t Buy It https://www.youtube.com/watch?v=7C-JTX3FRsE



30 marzo 2017

“Esclusivo”: un aggettivo (che mi sta) antipatico

 


Renato Guttuso – Particolare da La Vucciria, 1974 (particolare di immagine tratta dal web)

Quello che scrivo sotto non c’entra nulla con la poesia (e infatti l’ho collocato nella categoria Fuori tema), ma c’entra con le parole che (personalmente) considero davvero NON poetiche. L’aggettivo in questione è una di queste.

Cena esclusiva. E poi vacanza esclusiva, scuola esclusiva, circolo esclusivo: tutto esclusivo ovvero, letteralmente, che esclude qualcuno. Perché deve essere per pochi privilegiati (di solito dai soldi o dalle conoscenze). E allora? Tutto qui? Che gran merito ci sarà a partecipare a qualcosa solo perché ho abbastanza soldi da poterne comprare l’ingresso? In fondo, se tutti fossimo esclusivi alla fine non lo sarebbe più nessuno.  E dopo che avrò frequentato asili, scuole, licei esclusivi, dopo che avrò presenziato a cene, feste, progetti esclusivi per arrivare lì, in quel posto davvero esclusivo, poi che me ne faccio di tutta questa esclusività? Quanto, di vita (tutta, non quella esclusiva) ho escluso nel frattempo? Esclusivo è un aggettivo usato (e abusato soprattutto dalla pubblicità) pensando di presentare qualcosa di meraviglioso, ma in realtà significa solo che qualcuno pensa di meritare il meglio (rispetto a cosa poi? e rispetto a chi?), e quindi tornando al punto di partenza: cena esclusiva = cena per soli tipi presuntuosi (come minimo). Personalmente preferisco una buona cena comune. E tu?

 

°ascoltando Paul Young –  Love of the Common People https://www.youtube.com/watch?v=PggVRHqOOO4



14 settembre 2016

Fuori tema

 

*Apro con questo post la sezione “Fuori tema”. In questo spazio potrà trovare posto qualcosa che non ha a che fare direttamente con la poesia,  ma che  in qualche modo è legata al mondo della lettura o della scrittura o dell’arte in generale, complici magari alcune frasi “folgoranti” lette nei libri che poi danno origine a varie considerazioni… In sostanza, in questa sezione, troveranno posto le mie inutili divagazioni al di fuori del tema poesia.*


Bookcrossing: “liberare” e condividere i libri

«Leggo libri usati perché […] ogni copia di un libro può appartenere a molte vite e i libri dovrebbero stare incustoditi nei posti pubblici e spostarsi insieme ai passanti che se li portano dietro per un poco e dovrebbero morire con loro, […], insomma ovunque dovrebbero morire tranne che di noia e di proprietà privata, condannati a vita in uno scaffale».
Così scrive Erri De Luca in Tre cavalli e penso che abbia assolutamente ragione. Inoltre ultimamente, leggere libri che sono appartenuti ad altri è un’esperienza che può capitare con facilità.
Infatti, al di là delle classiche e assolutamente indispensabili biblioteche pubbliche, si sta diffondendo sempre di più anche in Italia il Bookcrossing.
Di cosa si tratta? Il nome inglese (in Italia questa attività è nota anche come Giralibri, Liberalibri, Libri in libertà, Libri Liberi, sebbene in realtà tutte queste denominazioni indichino anche metodologie di condivisione leggermente differenti) deriva dall’unione di book con crossing ovvero passaggio ed è un’iniziativa  di libera e gratuita condivisione dei libri tra le persone. Il bookcrossing nasce nel 2001, negli Stati Uniti, da un’idea dei coniugi Ron e Kaori Hombaker che, prendendo spunto da alcuni sistemi di tracciamento in rete, lanciarono il loro sito per lo scambio libero dei libri. Cito dal sito italiano (www.bookcrossing-Italy.com, a cui ad oggi sono iscritti - gratuitamente - più di 500.000 utenti che si definiscono BookCrossers o bookcorsari): “L’intenzione è quella di condividere un libro con il mondo, liberandolo […] se l’idea di abbandonare un libro in giro ti sembra strana, per un bookcorsaro il libro è il mezzo per trasmettere un’emozione e questa non smette di esistere quando il libro non c’è più”.
I libri possono essere semplicemente lasciati in un luogo pubblico (in stazione, su una panchina, su una sedia di un bar, in una sala d’attesa, in un albergo, in un museo, in un rifugio di montagna o in qualsiasi altro luogo pubblico) e quindi trovati casualmente da altri (e questa è forse la modalità più romantica). Ma possono anche essere scambiati in zone ufficiali (e si parla di Official Crossing Zone, OCZ), ovvero luoghi registrati formalmente e segnalati sulle mappe presenti nei vari siti interessati: qui sono a disposizione i libri  “liberati” da altri bookcorsari e chiunque può a sua volta prendere o, appunto, liberare altri libri. Sempre grazie a internet è possibile inoltre seguire il percorso del proprio libro assegnandogli un codice unico (BCID) che viene applicato con delle etichette; chi poi trova il libro può, tramite il sito di riferimento, annotare il luogo dove lo ha trovato, commentarlo e soprattutto indicare dove lo ha successivamente rilasciato.
Intorno a questo progetto, nel corso degli anni sono nate molte altre iniziative: comunità di bookcorsari, forum dove è possibile scambiare suggerimenti e sono molti i Comuni italiani che sostengono l’iniziativa nei loro siti o in quelli dei relativi Informagiovani (di recente sono nate alcune varianti di questa attività: bookrings, bookrays e bookboxes, ovvero liste di utenti che si scambiano, anche da un continente all’altro i libri via posta). Inoltre questa pratica di scambio  dei libri non esclude necessariamente un contatto diretto tra i partecipanti: l’avere alle spalle una comunità che condivide il metodo e l’esperienza di questo scambio porta infatti molto spesso all’organizzare dei ritrovi virtuali ma anche concreti.
Simili come filosofia ma differenti come modalità sono poi le Little Free Libraries. Si tratta di piccole casette di legno artigianali che contengono una certa quantità di libri in continuo cambiamento. I libri infatti possono essere presi e depositati da chiunque, anche se di solito queste piccole librerie  sono  pensate soprattutto per le persone del quartiere dove sono poste. I luoghi più adatti per l’installazione di una Little Free Library sono parchi, giardini, cortili, spazi comuni di condomini, ma anche bar o ristoranti. La regola fondamentale di queste librerie è prendere un libro e donarne un altro (“Take a book. Return a book“). Anche in questo caso l’idea è partita dagli Stati Uniti, dove Todd Bol ha costruito nel 2009 la prima Little Free Library: con un altro americano, Rick Brooks, ha creato la prima rete che cataloga e associa tutte le librerie di questo tipo e che si sono diffuse in tutto il mondo.
A Berlino, per esempio, le Little Free Libraries sono state ricavate nei tronchi degli alberi morti, mentre un po’ dappertutto si stanno convertendo a questo scopo le vecchie cabine telefoniche.
Per istituire una di queste piccole librerie basta scegliere il posto, costruire o acquistare la casetta per i libri, chiedere autorizzazione al Comune per posizionarla, riempirla di volumi e poi registrarla sul sito americano (littlefreelibrary.org) in modo che venga geolocalizzata. In Italia il primo esempio risale al 2012, quando l’insegnante Giovanna Iorio ha installato la casetta nel parco dell’Inviolatella Borghese, a Roma. Oggi in Italia se ne contano ormai centinaia.
Il fatto molto bello e importante è che alla base di tutti questi particolari “traffici letterari” c’è un’emozione (quella regalata da un libro) e la voglia di metterla in circolazione e quindi condividerla scambiando fisicamente e liberando quel libro, invece di tenerlo riposto in uno scaffale. E l’emozione, si sa, è un qualcosa che riesce a mettere in contatto le persone anche senza che queste si vedano, quindi questi scambi sono in realtà molto più di quello che sembrano.  In ogni caso sarà bello anche solo provare a immaginare il viaggio del libro che abbiamo liberato e le persone che potrebbero trovarlo: una sorta di narrazione immaginaria  della vita di un libro.
Con il Bookcrossing quindi, la parola “condividere” non sarà solo un’opportunità (ormai un po’ svuotata del suo vero significato) offerta da facebook, ma un reale scambio di emozioni. E forse, per le strade,  potrebbe rivelarsi più interessante cercare il libro che “ci aspetta” invece di dare la caccia a un pupazzetto virtuale (e non me ne vogliano i Pokemon!).

Irene Marchi (Articolo originale già apparso qui https://caffebook.it/2016/09/14/bookcrossing-liberare-e-condividere-i-libri/)


Chi mente?

     Capita che a volte non si capisca chi manipoli di più la realtà:  la memoria che parla a noi   o noi che vogliamo credere a lei?  ***  ...