Di solito si è spugna senza sapere di esserlo.
Scoprire di essere stati spugna per buona parte della propria vita è
doloroso perché la consapevolezza dà vita a uno stravolgimento profondo.
Ma si tratta di guarire e tornare a scorrere.
***
Sono stata spugna.
Per molti anni, quasi tutta la giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lì e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli altri si sentono
invitati a parlare moltissimo. Quando poi se ne andavano, ero
stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire raggomitolata sotto il
piumino e quando provavano a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo
ancora più stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente mi
chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo più vedere nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione e di approdo a
comprendere che stare con il respiro non è una tecnica ma una storia
d’amore, mi sono tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in
fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua che scorre e la
fontana non trabocca. Ma soprattutto, la fontana è lì a disposizione,
chi vuole ci va a bere e lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è
spugna, è fontana.
Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi
°ascoltando Ludovico Einaudi- Waterways – https://www.youtube.com/watch?v=f01DFAfNKXI